Credo che non sia più il momento di tacere. Io ho assistito a una violenza di Stato senza eguali. Mio marito, Emilio Riva, ha subito lo choc di un arresto a 88 anni, è stato privato dei suoi beni, accusato e mai sentito dai suoi accusatori, vilipeso da una stampa fanatizzata, descritto come un mostro. È morto solo, e senza giustizia. Perché tutte le misure che hanno travolto la sua vita privata e pubblica sono state adottate in via «preventiva», senza neppure uno straccio di condanna di primo grado. Come li chiamate questi se non omicidi legalizzati? Nulla e nessuno potranno restituirmi mio marito, ma io sento il dovere di restituire alla memoria collettiva il ricordo autentico di Emilio, un uomo partito come venditore di rottami di ferro nel dopoguerra e poi diventato il quarto produttore di acciaio europeo. Lui diffidava dei giornalisti, sua nonna gli aveva insegnato questo: «Stai alla larga da giornalisti, preti e avvocati. I primi scrivono quello che vogliono, i preti arrivano quando stai per morire e gli avvocati vogliono solo i tuoi soldi». Seppure a malincuore, io devo parlare, devo far conoscere la sua storia, quella vera. Nella vicenda Ilva non c'è nulla di ovvio, solo un mare di violenza che adesso tiene sotto schiaffo il figlio di Emilio, Fabio Riva, che si è ammalato a seguito di questa vicenda.
Spero che non faranno con lui quello che hanno fatto con mio marito. Spero che gli daranno la possibilità concreta di difendersi. Spero che lo risparmieranno, se esiste ancora una parvenza di giustizia in Italia.* tratto dal sito www.finoaprovacontraria.it
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