Coronavirus

"Il modello Zaia funziona: bisogna fare più tamponi"

Il dottor Sandro Michelini spiega perché fare tamponi è, da più punti di vista, la mossa più intelligente da mettere in campo. Serve il "modello Zaia"

"Il modello Zaia funziona: bisogna fare più tamponi"

Il modello utilizzato dal presidente Luca Zaia è la strada giusta per gestire la fase di uscita dal guado. Sembra esserne certo il dottor Sandro Michelini, che si occupa da anni delle patologie del Sistema Linfatico. Michelini è stato Presidente della Società Europea di Linfologia, ma anche Presidente della Società internazionale di Linfologia. Ora come ora, Michelini ricopre la carica di Coordinatore nazionale dell’Associazione Scientifica ITALF ed è Coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione di pazienti SOS Linfedema. Il modello Zaia, per il professore che abbiamo intervistato (Michelini è anche un docente universitario), funziona. E bisognerebbe che i tamponi effettuati sul territorio nazionale italiano aumentino di numero. Come disposto da Zaia, appunto. Altrimenti diventerà complesso capire a che punto siamo della pandemia.

Dottor Michelini, possiamo dirci preoccupati dalla fase2? Abbiamo capito qualcosa di questo Covid-19?

Purtroppo, ad oggi, la cosiddetta Fase 2 presenta ancora molte incognite rispetto alla gestione dei comportamenti relazionali e sociali. Avrete senz’altro letto le molte interpretazioni di esperti virologi ed epidemiologici circa i comportamenti biologici del Virus; alcune di queste analisi sono agli antipodi l’una dell’altra. Come per tutte le sostanziali ‘novità biologiche’ in cui la scienza s’imbatte, anche in questa circostanza possiamo dire che il responsabile della pandemia è stato identificato ma, circa i suoi comportamenti biologici, dobbiamo ancora scoprire molto. Si tratta di un agente talmente eterogeneo nelle sue manifestazioni cliniche - pur comportandosi nei meccanismi di azione esattamente come gli altri coronavirus nei quali ci siamo imbattuti in passato - che lo ribattezzerei ‘Proteo-Virus’, in memoria della figura delle mitologie fenicia, egizia e greca che lo descrivevano come un essere in grado di cambiare di continuo la sua forma.

In che senso?

Forse questo è l’unico aspetto che, nella sostanza, ci fa pensare ad un futuro più sereno per noi. Quando cioè, l’entità biologica attuale, si trasformerà in una molto meno aggressiva ed andrà scemando. Ma non sappiamo quando ciò avverrà, secondo alcuni entro pochi mesi, secondo altri tra anni. E questo in assenza di algoritmi scientificamente dimostrabili allo stato attuale. La preoccupazione odierna per l’allentamento delle misure di isolamento che hanno ridotto le nostre attività ed i nostri diritti costituzionali deriva da questo e fanno riflettere sulla necessità di coordinare in maniera adeguata tutte le regole che avvieranno la rimessa in moto dell’Italia.

Ritiene che il modello Zaia abbia funzionato? In Veneto le cose sembrano andare meglio...

Che il modello Zaia stia funzionando lo dicono i dati. Se pensiamo ad uno dei primi terribili focolai realizzatosi nel comune di Vo Euganeo, in cui gran parte della popolazione era stata interessata dal contagio, ed all’azione di monitoraggio capillare e tempestiva di studio con i tamponi cui sono stati sottoposti i cittadini.... Quell'azione ha portato ad una totale bonifica, in tempi rapidi, dell’intero territorio. Un'esperienza poi traslata gradualmente all’intera Regione Veneto (quella di Zaia, ndr) - . Con questo ci rendiamo conto di quanto sia importante, per una ripresa più sicura delle attività, il monitoraggio capillare della reale condizione dei singoli cittadini nei confronti della capacità di trasmissione del contagio.

Quindi servono più tamponi su scala nazionale?

Il tampone per la ricerca del virus nella mucosa dei cavi orale e nasale (nonostante la minima percentuale di falsi negativi in funzione della viremia, cioè della concentrazione plasmatica del virus in quel determinato momento, verificata nella popolazione generale) rimane il test diagnostico attuale più attendibile. Il tampone supera, in questo senso, il cosiddetto test sierologico, che consiste nella individuazione nel sangue (prelievo ematico abituale da una vena del braccio) delle Immunoglobuline (anticorpi), Ig, che il soggetto può aver sviluppato nei confronti del virus se lo ha incontrato in maniera sintomatica o asintomatica.

Quindi come funziona un test sierologico?

Se risultano elevate le Ig M, vuol dire che l’infezione è in atto o recente, se sono innalzate le Ig G, vuol dire che il soggetto è venuto in contatto con il virus ma in tempo passato (le Ig G sono gli anticorpi che rappresentano la memoria immunitaria dell’individuo). Questo, nel caso del Covid-19, tuttavia, non ci assicura - come ricordato anche ieri dall’OMS - che il soggetto sia immunizzato. Se il soggetto lo è, non ci dice quanto e per quanto tempo (tre mesi, sei mesi, un anno, a vita?). In alcuni soggetti, peraltro, sono stati riscontrati valori di Ig G talmente bassi che, se da un lato testimoniavano l’avvenuto contatto dell’individuo con il Virus, dall’altro non ci assicuravano circa l’immunità futura nei confronti di eventuali nuovi contatti; e forse questo aspetto ci spiega il perché in alcune persone si è assistito ad una ‘ricaduta’ nello stato infettivo - per nuovo contagio - a guarigione avvenuta e testimoniata dalla negatività di due tamponi eseguiti a distanza di 24 ore l’uno dall’altro.

I tamponi sono quindi la conditio sine qua non per poter riaprire?

Di sicuro. Almeno allo stato delle conoscenze e considerando che non è dato sapere quando avverrà la realizzazione del vaccino - peraltro non scontatissima - . Non sappiamo neppure con che tipo di disponibilità verrà effettuato uno screening della popolazione in questo senso. In specie nell' ambiente sanitario, il tampone è razionalmente il tipo di azione preventiva (cosiddetta ‘Preparedness’ dall’Istituto Superiore di Sanità) e reattiva (Readness) più efficace per una ‘riapertura’ in relativa sicurezza per tutti.

Cosa state facendo, in termini pratici, per coadiuvare i pazienti in questa fase?

Come associazione ci stiamo adoperando per la tutela della salute dei nostri pazienti, sia per la prevenzione primaria che secondaria, considerando che questi, alla stessa stregua di tanti altri affetti da patologie croniche e disabilitanti, stanno vivendo un periodo nel quale, oltre al rischio del possibile ‘contagio’, sono privati delle terapie fisiche fondamentali - terapie non eseguibili che in pochissimi Centri organizzati dal punto di vista degli spazi e delle operatività - per il contenimento dei loro quadri clinici e per la prevenzione delle possibili complicanze soprattutto di tipo infettivo.

Qual è lo stato degli studi epidemiologici ed immunologici ad oggi?

Come le dicevo, i dati epidemiologici sono in continuo ‘rimodellamento’. Ad oggi possiamo dire che circa il 75% dei pazienti si presenta ‘paucisintomatico’ o, addirittura asintomatico (ma in fase acuta ugualmente contagioso!), il 15% presenta quadri clinici più seri ma gestibili in Centri ospedalieri dedicati e, tra il 5 e 10% ì, presenta quadri di gravità clinica più elevata con serio coinvolgimento di più organi ed apparati. Purtroppo, molti di questi pazienti ancora oggi non riescono a superare la sfida biologica che il virus pone in atto. In considerazione dei numeri che sono girati - anche di quelli comunicati dalla Protezione Civile - è nostra opinione che l’incidenza del contagio è stata ed è numericamente molto più significativa di quella ufficiale. Il numero dei tamponi realmente effettuati sul territorio, ancora oggi, è insufficiente per avere una reale ‘mappatura’ del contagio!.

E la questione della “seconda positività”?

Le confesso che, nelle ultime settimane, ho personalmente preso per certi soltanto i valori che venivano comunicati in relazione ai ‘decessi’ ed ai posti occupati in terapia intensiva, attribuendo a tutti gli altri un valore assolutamente approssimativo. Dal punto di vista immunologico, come già detto, allo stato attuale non abbiamo certezza che un ex-malato o un ‘contagiato asintomatico’ possieda un' immunità futura contro il virus, né per quanto riguarda la sua intensità (e quindi efficacia clinica) né, tantomeno, per il periodo di presunta immunità (se lo sarà per quanto tempo lo sarà).

Attendiamo con fiducia la possibile realizzazione di un ipotetico vaccino specifico.

Commenti