Tutti, o quasi, chiuderanno gli occhi. Qualcuno si lamenterà per il vino, perché a Doha il brindisi è analcolico, e sul resto si dirà che è solo un mondiale un po' speciale. Il resto sono i diritti umani. Non è certo la prima volta che accade. È stato così anche in Italia nel '34, ma era il profondo Novecento. È successo, per dire, in Argentina nel '78, quando la voce dei desaparecidos fu sepolta dal tifo del Monumental. È che adesso dovrebbe esserci una maggiore sensibilità. Non si tacciono e non si perdonano all'Occidente gli errori della sua storia. Si buttano giù statue e si dannano le parole, però quando si parla dei Mondiali di calcio in Qatar ogni cosa appare più sfumata. No, non è solo questione di soldi. Quelli, certo, contano, ma l'opinione pubblica europea è più indulgente verso i «peccati» degli altri. Non si indigna e quasi non se ne parla. Non è che tutti stanno zitti, ma la voce non è quella di un intellettuale di professione. È un terzino sinistro australiano di 21 anni a cui non manca il coraggio. Si chiama Josh Cavallo ed è il primo omosessuale dichiarato del gran circo del calcio. «Ho letto qualcosa sul carcere per i gay in Qatar, quindi ho molta paura, non vorrei davvero andarci». La risposta arriva da Nasser Al Khater, amministratore delegato del comitato organizzatore: «È il benvenuto.
Nessuno da noi deve sentirsi minacciato, ma le manifestazioni pubbliche d'affetto sono disapprovate. Rispettiamo le culture diverse e ci aspettiamo che le altre culture rispettino la nostra». Questo è il punto. In Qatar, anche nei giorni del Mondiale, gli omosessuali devono nascondersi.
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