Cronache

"Morire è bello, coraggio": le 'chat del suicidio' che adescano i ragazzini

Le chiamano ''chat del suicidio'', un gioco online in cui gli adolescenti si incentivano a togliersi la vita con pratiche autolesioniste: ''Morire è bello'', scrivono

"Morire è bello, coraggio": le 'chat del suicidio' che adescano i ragazzini

''Morire è bello''. E ancora: ''Coraggio, è l'unico modo per uscirne''. È il contenuto, a dir poco da brividi, di quelle che vengono definite ''chat del suicidio'', spazi virtuali in cui decine di adolescenti vengono iniziati al rituale macabro della morte da perfetti sconosciuti. Un gioco sul filo del rasoio in cui vince chi, alla fine di strazianti patimenti, decide di togliersi la vita.

Le chat del suicidio

Ci si incontra tutti lì, davanti ad uno schermo vuoto. Dall'altra parte del monitor siede ''un mostro'' senza volto che colpisce e affonda giovani vittime. Un gioco sadico, perverso e malevo in cui si perdono ragazzi in tenera età che non hanno ancora esplorato il mondo: sono fragili, maledettamente fragili. Uno sconosciuto li prende per mano, millantando sollievo dalla pene adolescenziali, e poi li spinge giù da un dirupo senza neanche sfiorare loro la schiena. È un vortice dell'orrore che risucchia linfa vitale, giorno dopo giorno, fino a quando la voragine sfuma davanti alla soluzione definitiva della morte. Gli adolescenti vengono esortati a pratiche autolesioniste, crudeli, spietate: estreme. ''Morire è bello'', è lo slogan che si ripete all'infinito in quelle chat finché la mente non rabbuia del tutto: diventa un mantra. A quel punto, la vittima spegne il pc e si getta da un balcone. Il mostro ha vinto ancora una volta.

La storia di Paolo

Ma, per fortuna, c'è qualcuno che riesce a rinsavire dal vortice e salvare la pelle. Lo sa bene Paolo, un 13enne di Roma finito, per caso, in una di queste ''chat del suicidio''. Come racconta il Messaggero, Tutto comincia durante i mesi del lockdown. Paolo si sente solo, non ci sono né più la scuola né gli amici del calcetto ad impegnargli il tempo. Si rintana nella sua stanza trascorrendo intere giornate davanti al pc. Un giorno, riceve l'invito da uno sconosciuto per la partecipazione ad un gioco online. Non sa di cosa si tratta, neanche lo immagina, ma accetta. Incuriosito dalla circostanza, inizia le conversazioni con presunti coetanei. Nei dialoghi con gli amici virtuali, si parla di morte, di come autoinfliggersi delle ferite o togliersi la vita per ''liberarsi''. Alcuni dei partecipanti mostrano in foto i tagli che si sono inferti al corpo. Paolo è affascinato da tutto ciò che vede, tanto da non riuscire più a staccarsi dal monitor neanche per un secondo. Stringe amicizia con una persona che, dopo aver conquistato la sua fiducia, gli chiede di passare ai fatti. ''La morte è l'unica soluzione'', non fa altro che ripeterglielo, fino allo sfinimento. Prova a resistere, a non cedere alla tentazione diabolica, ma è maledettamente dura. I genitori hanno intuito che qualcosa non torna, Paolo è diventato schivo e scontroso con tutti. Così, una notte, assalito da mille dubbi, suo padre decide di controllare il suo smartphone. Scopre un universo parallelo, fatto di orrore e sadismo, in cui proprio suo figlio è stato catapultato. A quel punto, decide di denunciare tutto ai carabinieri che aprono una inchiesta. Paolo riesce a salvarsi grazie al supporto di uno psicoterapeuta del Bambino Gesù di Roma. Ma ha camminato con la morte, senza neanche accorgersene.

''Suicidi in aumento tra gli adolescenti''

''Le consulenze neuropsichiatriche, al pronto soccorso della nostra struttura, per tentativi o ideazione suicidaria, comportamenti autolesivi da parte di minorenni sono aumentate di 20 volte dal 2011 al 2018''. A dirlo è la pischiatra del team di specialisti del Bambino Gesù alla pagine de Il Messaggero che ha raccontato, nell'edizione cartacea di questa mattina, la storia di Paolo. La casistica non riguarda episodi che sono indotti solo dai social network. La decisione di togliersi la vita può maturare per i più disparati motivi. È importante, spiega Serra, ''non far passare il messaggio secondo cui un ragazzino che sta bene e si avvicina a 'Blue Whale' o 'Jonathan Galindo', tenta il suicidio. Chi cade in queste trappole sono preadolescenti o adolescenti che attraversano un malessere e cercano in qualche modo delle 'soluzioni' per togliersi la vita, quindi si documentano online''. A quanto pare, tutti i giovanissimi ''hanno la possibilità di entrare in contatto con informazioni sul web - sottolinea la pischiatra - che possono incitare all’autolesionismo ma non tutti sono sensibili a quel messaggio. In questa fascia d'età è molto frequente ed è maggiore il rischio, rispetto ad un adulto con il medesimo scopo, di passare all’atto pratico. I giovanissimi per natura - precisa la specialista - sono più impulsivi''. Per adesso né all’ospedale pediatrico né in procura sono capitati episodi collegati a “Jonathan Galindo”, la nuova pericolosa challenge dei social, nella quale possono cadere vittima i più piccoli. La vicenda più grave si è registrata a Napoli, il 29 settembre con il suicidio di un 11enne. Invece, l’unità di neuropsichiatria infantile era intervenuta su un altro “gioco” a tappe che spingeva i minorenni verso il suicidio. Ad ogni modo, conclude la dottoressa Serra ''abbiamo al Bambino Gesù una helpline (06 68592265) dedicata. Un servizio a cui rispondono delle psicologhe h24 sette giorni su sette, a cui si può chiamare per richieste d’aiuto''. Paolo adesso sta provando a ritornare con non poca fatica ad una vita normale.

Nel frattempo la procura indaga su chi lo istigava a farla finita.

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