Dalle urne è uscito un «no» secco al multiculturalismo, al politicamente corretto, all'immigrazione incontrollata e allo ius soli. La sinistra ha perso anche nelle sue roccheforti: il colore rosso è quasi sparito dalle cartine geografiche post elettorali pubblicate sui giornali. Come mai? Un indizio. Nelle località dove la convivenza fra italiani e stranieri ha prodotto problemi o addirittura tragedie, il centrodestra, specie la Lega, ha incassato un successo netto.
Dopo la caduta del Muro, i post-comunisti hanno divorziato dal popolo per occuparsi dei problemi della borghesia metropolitana. Non parlano più di riscatto sociale o uguaglianza. Preferiscono educare il popolo attraverso il lessico ipocrita del politicamente corretto, estraneo all'esperienza delle persone. Che hanno votato il centrodestra, dalle idee chiare sull'immigrazione incontrollata, e il Movimento 5 stelle, che non si capisce bene cosa voglia ma che, in passato, aveva fatto, attraverso alcuni dei suoi leader, dichiarazioni dure contro la politica delle porte spalancate. La favola del socialismo umanitario non ha incantato i cittadini che hanno potuto sperimentarne gli effetti: si preoccupa della fame nel mondo ma non della fame a Canicattì.
Ancora meno piace la propaganda continua sui vantaggi dell'immigrazione e la rinuncia alle nostre radici. Il multiculturalismo, sosteneva non un pericoloso estremista ma il liberale Giovanni Sartori, non è una buona idea. Secondo lo studioso, il multiculturalismo conduce alla «secessione culturale». La separazione prevale sull'integrazione. La città diventa un mosaico di tribù che vivono una accanto all'altra senza quasi conoscersi. Le rivendicazioni di un numero crescente di minoranze portano poi «a leggi diseguali caratterizzate da eccezioni». Lo Stato liberale sottrae l'individuo all'arbitrio perché le leggi si applicano senza distinzioni. Al contrario, la moltiplicazione dei diritti, attribuiti in funzione dell'appartenenza a una minoranza culturale e protetti da leggi ad hoc, porta alla frammentazione e reintroduce l'arbitrio: allo Stato è attribuito il dovere di intervenire e il potere di discriminare. In altre parole, il mondo multiculturale è illiberale e genera conflitti (tra poveri).
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