Cronache

"Nessun atto sui militari…". Il Viminale nasconde i misteri della zona rossa mancata

Il ministero nega gli atti sulla presenza di militari in Val Seriana nel marzo 2020. Perché non venne fatta la zona rossa?

“Nessun atto sui militari…”. Il Viminale nasconde i misteri della zona rossa mancata

Tecnicamente è la risposta dei legali del ministero dell’Interno alla richiesta di spiegazioni del Consiglio di Stato. Alessandro Manzoni l’avrebbe definita una mossa da azzeccagarbugli. Più prosaicamente, o se volete leggendola politicamente, si potrebbe definire la supercazzola con cui il Viminale guidato da Lamorgese risponde “picche” per l’ennesima volta alla richiesta di “trasparenza” in merito alla mancata zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo. Una trasparenza che servirebbe a smentire i ripetuti attacchi rivolti a regione Lombardia e spiegare, una volta per tutte, chi e come decise di "rinviare" la chiusura della Val Seriana.

La mancata chiusura della Bergamasca

Bisogna tornare a quel 5 marzo del 2020, quando il coronavirus appariva ancora un lontano morbo cinese che aveva colpito i primi paesi italiani. Codogno, Vo’ Euganeo e altri centri italiani del Nord Italia sono già in lockdown. Ma a patire è anche e soprattutto la Val Seriana. Il Pirellone chiede di intervenire anche nella Bergamasca, sono giorni complicati, e il governo invia circa 400 effettivi tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ed esercito. Gli uomini in divisa restano in hotel, attendono disposizioni, per tre giorni restano in un limbo e alla fine - l’8 marzo - ne viene ordinato il ritiro. Perché? Chi e come decise di annullare l’operazione per blindare Nembro e Alzano?

"Fateci leggere gli atti"

Due anni fa l’Agi ha presentato una richiesta di accesso agli atti al ministero dell’Interno per cercare di consultare gli atti che portarono al dispiegamento, e poi al ritiro, delle forze armate nella Bassa Bergamasca. Sulla “mancata zona rossa” indaga anche la procura di Bergamo, con l’ipotesi che i ritardi di Conte&co. abbiano potuto “aggravare” uno dei focolai più tragici della prima ondata (ricordate le bare di Bergamo?). Che giornalisti e cittadini vogliano sapere qualcosa in più su quei fatti appare anche normale. Ma il Viminale ha prima negato l’accesso agli atti e poi, dopo la sentenza del Tar che lo invitava a rendere pubblici i documenti, ha pure fatto ricorso al Consiglio di Stato.

Il diniego del Viminale

La posizione del ministero è chiara. Già nel primo diniego del 6 novembre 2020 per negare gli “atti inerenti l’impiego e il ritiro dei militari” aveva richiamato delle “cause di esclusione” previste dalla legge, e che permetterebbero al Viminale di tutelare il segreto per tutto ciò che riguarda “l’ordine pubblico”, la “sicurezza nazionale”, la “difesa e le questioni militari” fino alla “conduzione dei reati e al loro perseguimento”. E poco importa se per il Tar ha poi respinto questa tesi, ritenendo che “una loro divulgazione” non “vanificherebbe la strategia individuata dalle forze di polizia”. Il ministero ha fatto ricorso al Consiglio di Stato il quale, poco più di un mese fa, ha chiesto maggiori chiarimenti sulle ragioni del “niet” all’ostentazione dei documenti.

Il ministero dell'Interno risponde picche

Spiegazioni che sono arrivate il 31 dicembre con in calce la firma del capo della polizia, Lamberto Giannini. La nota è scritta in legalese e non è di facile lettura. Ma contiene due passaggi fondamentali. “Non c’è stato alcun atto governativo specificodi impiego delle forze militari nelle zone di Nembro e Alzano”, si legge. In sostanza il Viminale fa leva su un piccolo errore, forse, commesso dall’Agi: ovvero quello di chiedere gli “atti relativi alla volontà del governo di impiegare le forze militari” in Val Seriana e “gli atti relativi alla stessa operazioni con i quali è stato disposto il loro ritiro”. Per “forze militari” si intende, ovviamente, solo l’Esercito e dunque la risposta del ministero si concentra sull’Operazione Strade Sicure tralasciando la polizia, le Fiamme Gialle e l'Arma dei Carabinieri. In sintesi: poiché l’impiego dei soldati per esigenze di ordine pubblico e contrasto al terrorismo è complesso e generale, non specifico per questa o quella operazione, le informazioni vanno tenute segrete. Divulgarle non solo svelerebbe “concrete modalità di impiego del personale” in “attività strategiche”, ma costringerebbe l’amministrazione a mostrare “l’intero piano d’impiego del contingente militare sul territorio nazionale, non essendoci stato alcun atto governativo specifico di impiego delle forze militari nelle zone di Nembro e Alzano”.

Ed è qui che la trama del Viminale si fa un po’ oscura. “Ove pure ci fosse stato uno specifico atto governativo – si legge nella memoria – non certamente tale atto avrebbe potuto disporre dell’impiego operativo dei contingenti militari assegnati, essendo tale impiego rimesso alle complesse procedure delineate per l’adozione del decreto del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa”.

Quel documento segreto

Bene. Il punto però è che poliziotti, carabinieri, militari e finanziari a Nembro ed Alzano ci sono andati. Lo abbiamo raccontato dettagliatamente nel Libro Nero del Coronavirus (Historica Edizioni), con rivelazioni sulle lunghe attese dei contingenti in hotel. Abbiamo parlato con uno dei carabinieri coinvolti. E soprattutto ilGiornale ha svelato il documento con cui il ministero della Difesa ordinò il ritiro delle truppe dalla Val Seriana. “A seguito di individuazione di zona rossa nell'area di Bergamo dalle autorità governative relativa all'emergenza nazionale Covid 19 - si legge in una comunicazione della Difesa - su richiesta di Mininterno Ufficio sicurezza ed ordine pubblico si dispone il rinforzo di personale impiegato nell'operazione Strade sicure con un contingente di 120 unità”. E ancora, qualche giorno dopo: “Mininterno ha comunicato che l'esigenza di rinforzo di personale impiegato nell'area di Bergamo è terminata”. Se questi atti esistono, è evidente che qualche documento relativo all’operazione Val Seriana esisterà. No? In fondo è stato lo stesso ministro della Salute, Roberto Speranza, a rivelare nel suo libro (mai pubblicato) che Luciana Lamorgese si era attivata “prontamente” per “verificare la fattibilità” della zona rossa nella Bergamasca. Le “forze dell’ordine infatti effettuano i primi sopralluoghi”, scrive Speranza, e addirittura “gli atti formali di questa decisione” erano già “in preparazione”. Poi però arrivò lo sto. Perché? In che modo? Chi firmò quegli atti?

Magari l’Agi avrà chiesto i documenti sbagliati.

Magari legalmente il ministero dell’Interno vincerà il ricorso al Consiglio di Stato. Ma se il ministro Speranza rivendica ogni tre per due di praticare la “trasparenza” come principio cardine della sua azione politica, è davvero impossibile trovare un modo per rendere pubblici gli atti che portarono al Viminale a comunicare la “terminata” esigenza di rinforzo dal ministero della Difesa?

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