Il Nobel che accontenta tutti

Il Nobel che accontenta tutti

Gli accademici di Svezia hanno due talenti. Quello di premiare scrittori che hanno l'insolita caratteristica di non essere letti da nessuno, o almeno: da pochi. E quello di bilanciare con eccezionale misura, anno dopo anno, la valorizzazione di autori impegnati sul fronte del multiculturalismo, della contestazione ai regimi autoritari, del terzomondismo, dell'«esperienza femminile», degli «spodestati», il tutto - a volte - al netto del reale valore letterario delle loro opere. Anche quest'anno il Nobel letterario ha rispettato la consuetudine, moltiplicata per due. E così - dosando correttezza e scorrettezza, in equilibrio fra destra e sinistra, ripartendo fra uomo e donna - compiace tutti, scontentando altrettanti. Comunque, le proporzioni tra i due vincitori sono perfette. Lei: Olga Tokarczuk, donna, impegnata sul fronte femminista-ecologista, membro del partito di sinistra «Partia Zieloni», europeista global, scrittura tradizionale, letta (fino a ieri) praticamente da nessuno, e look alla Carola Rackete. Lui: Peter Handke, uomo, intellettuale che piace a destra, filoserbo, local e critico sull'Unione europea, scrittura sperimentale, letto (soprattutto negli anni Ottanta-Novanta) da molti, giacca e occhialino. Anche le motivazioni sono un capolavoro diplomatico. Lei: «Per l'immaginazione narrativa che con enciclopedica passione rappresenta l'attraversamento dei confini come forma di vita». Parola d'ordine: nomadismo. Lui: «Per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell'esperienza umana». Parola d'ordine: identità. Insomma: lei è rassicurante, da scoprire, rasserena i lettori dai buoni sentimenti, tolleranti, benevoli. Lui è controverso, già conosciuto, liscia i lettori più politicamente scorretti, meno accomodanti, più «di battaglia». Lei è immediatamente affabile, simpatica. Lui suscita incomprensioni, se non antipatie. Lei è cittadina del mondo. Lui avvinghiato alle proprie radici. Premiare lei a un certo punto (era da dieci giorni che negli ambienti letterari e sui giornali si faceva il suo nome tra i candidati) è diventata una scelta scontata. Premiare lui ormai (dopo dieci anni in cui il suo nome non si citava neppure più a proposito del Nobel) è diventata una decisione coraggiosa. E così, alla fine, la doppia decisione dell'Accademia di Svezia, proponendo due scrittori divergenti su tutto, appare - in nome della sacra legge dei bilanciamenti - perfetta. A perderci, forse, rimane invece il premio Nobel, che continua ad anteporre ragioni geopolitiche ai valori letterari.

E poi, lo sanno tutti ormai: se per gli editori il premio è un toccasana, per gli scrittori quasi sempre è una pietra tombale sulla propria creatività. E del resto a proporre di abolirlo - sostenendo che il riconoscimento, con la sua «falsa canonizzazione», non porta nulla di buono - fu proprio, neanche cinque anni fa, uno dei premiati di oggi.

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