Guerra in Ucraina

Non solo armi

Premessa: fornire le armi ad un Paese aggredito come l'Ucraina è una necessità triste e doverosa

Non solo armi

Premessa: fornire le armi ad un Paese aggredito come l'Ucraina è una necessità triste e doverosa. Se si riuscirà a convincere Vladimir Putin a tornare sui suoi passi, ad intraprendere la via del negoziato, lo si dovrà anche a questa decisione, che ha trovato l'Occidente per buona parte unito. Solo che armare l'arsenale ucraino è una necessità, non un programma. Purtroppo, però, specie nel mondo anglosassone, si parla solo di cannoni, elicotteri e carri armati. Invece, bisognerebbe rifornire Kiev in silenzio e immaginare altro: quando la Cina appoggiava in maniera massiccia il Vietnam del Nord e i Viet Cong nella sua guerra contro gli Usa, più di cinquant'anni fa, non gridava ai quattro venti la lista quotidiana delle armi che mandava oltre confine. Ecco, quel che manca è un impegno ugualmente convinto da parte dell'Occidente nell'uso del linguaggio del cessate il fuoco, della tregua, delle trattative e della pace. Continuare con i proclami quotidiani contro il Cremlino serve a poco. L' argomento andrebbe lasciato ai campi di battaglia, mentre ci vorrebbe un'iniziativa diplomatica che raccogliesse i frutti dei successi della resistenza ucraina.

Le tracce di una simile iniziativa sono ancora labili, ma questa lacuna, quest'approccio maniacale alla crisi solo dal punto di vista militare potrebbe a lungo andare logorare il campo occidentale. Putin, sia pure nella sua miopia, se ne è accorto: i toni meno minacciosi rispetto alle previsioni della vigilia del discorso sulla Piazza Rossa, avevano questa ratio. Poi naturalmente il giorno dopo lo Zar è tornato a lanciare missili su Odessa e a bombardare l'acciaieria Azovstal, ma in ogni caso quel cambio di atteggiamento andava rimarcato e i leader europei - non certo gli Usa o l'Inghilterra - in parte lo hanno fatto. Prima il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz. Poi ieri anche Mario Draghi è stato chiaro alla Casa Bianca nel dire a Biden che «la gente vuole parlare di cessate il fuoco e di pace». Del resto una funzione del genere può essere svolta solo dall'Europa. Ma per essere convincente - sia con Putin, sia con Biden - l'Unione non dovrebbe essere divisa o apparire tale. Invece da settimane non riesce ad individuare una posizione comune sulle sanzioni alla Russia sul petrolio, per cui è difficile immaginare che abbia la capacità di diventare protagonista di una mediazione tra Mosca e Kiev.

È proprio l'Europa la grande assente, l'eterna incompiuta. Ieri il ministro degli Esteri ucraino, Kuleba, ha dichiarato: «L'Ucraina nella Ue è una questione di guerra o di pace in Europa». Nulla di più vero. Ma i 27 Paesi sono divisi sui tempi dell'adesione se non addirittura sull'approdo: l'Austria ha già posto una sorta di veto. E si torna al punto di partenza: per dare un ruolo all'Europa c'è bisogno che i Paesi fondatori, quelli che hanno creato l'Unione, facciano un passo avanti, lasciando agli altri la scelta se restare indietro o meno.

Anche perché solo un'Europa vera, unita nella politica estera e nella difesa, potrà garantire la pace nel continente.

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