
Da una parte il controverso manifestarsi nelle piazze e nei mari di quella che è stata chiamata la "generazione Gaza". Dall'altra il solenne storico accordo voluto da Donald Trump e firmato lunedì a Sharm el-Sheikh. Ebbene, intorno a questi due eventi si sta sviluppando, sui media e nella politica, una battaglia tra opposte mitologie: quale dei due avvenimenti ha suonato la sveglia al mondo per indurlo a voltare pagina? Gran parte della sinistra intellettuale italiana, ispirata dalla scrittura sempre suggestiva di Alessandro Baricco, è rimasta talmente affascinata dalle piazze pro Pal da interpretarle come un trasparente segnale della fine del Novecento. L'imprevisto risveglio delle coscienze di tanti ragazzi, in precedenza visti solo come schiavi passivi di un cellulare, ha fatto considerare la loro scesa in campo come lo spartiacque tra due secoli e due visioni del mondo: la pace contro la guerra, la vita contro la morte, l'umanità contro la barbarie.
È sempre positivo che i giovani sentano di doversi impegnare sulle sorti del mondo. E, nel caso, ribellarsi. Guai però a dimenticare che il Novecento è stato ripetutamente attraversato da tali ribellioni alcune delle quali, dagli anni Venti fino al mitico 1968, alle volte hanno finito per causare tragedie peggiori di quelle che contestavano. L'idea dell'annullamento del soggetto in nome dello Stato, della Razza o della Classe è stata la colonna sonora di un secolo dominato da faziose disumanità. Allora: davvero le manifestazioni pro Pal hanno segnato una svolta? Certamente no. Infatti, per rappresentare davvero il trionfo della vita sulla morte i ragazzi di Gaza avrebbero dovuto scendere in piazza non solo contro le bombe di Israele: ma anche (e prima) contro l'inaudita carneficina di Hamas del 7 ottobre. Ma non l'hanno fatto. E avrebbero dovuto scendere in piazza (e dovrebbero ancora) contro i crimini compiuti da Putin in Ucraina, dove la strage di civili e di bambini è più intensa di quella di Gaza. Ma non l'hanno fatto. E non lo faranno.
Eppure, soltanto ribellandosi ad ogni sopruso, da qualsiasi parte imposto, l'attuale generazione avrebbe rotto con le nichiliste contrapposizioni del Novecento. Avrebbe celebrato la vita di ogni essere umano (israeliano, palestinese, ucraino) in nome di una nuova politica finalmente libera da ogni idea di annullamento del nemico. Ma, ripeto, così non è stato. Non c'è dunque nulla di nuovo sotto il sole: anche nel corredo di violenze che, da decenni, accompagnano i cortei a favore della resistenza palestinese e contro Usa e Israele. L'unica novità? La tragica escalation di Netanyhau ha reso molto più ampi i confini dell'indignazione. Ma non s'è visto alcun salto morale verso una coscienza universale di rivolta contro ogni massacro. Ciò che avrebbe potuto essere l'unica vera rottura con il doppiopesismo partigiano del XX secolo.
All'opposto, l'evento di Sharm el-Sheikh si è rivelato un assoluto inedito rispetto al Novecento. C'erano sì già state altre significative occasioni di pace, da Oslo a Camp David. Ma mai si era visto l'intero Occidente con le monarchie del Golfo, Egitto, Turchia, Pakistan siglare uniti (con la benedizione del Vaticano) un accordo di pace e una road map sul futuro del Medio Oriente. Quella sala sembrava il Palazzo di vetro di una nuova Onu, in grado di tornare a incidere sui destini del mondo con Trump, per un giorno, nel ruolo di Segretario Generale. Non si può ancora sapere se le diverse fasi dell'accordo andranno in porto: il clima di tensione resta altissimo. E si può sin d'ora osservare che senza decidere chi rappresenta i palestinesi ogni passo si farà maledettamente complicato, in specie nella prospettiva due popoli, due Stati. In ogni caso, questo inedito format multilaterale (organizzato da un Presidente che si voleva isolazionista!) resterà in piedi e costituirà un solido paravento contro ogni destabilizzazione. In sostanza, rendere permanenti gli accordi di Abramo significa davvero archiviare quel Novecento che, dal '48 in poi, ha visto Israele, palestinesi e Stati arabi contrapposti in una teoria infinita di guerre.
Se il patto reggerà, il Medio Oriente del Ventunesimo secolo sarà assai diverso da quello del Ventesimo. La pace è una paziente costruzione (come hanno detto ieri Mattarella e Leone XIV) non l'esito di un'invettiva di massa. E si spera che la generazione di Gaza e i suoi cantori, prima o poi, se ne rendano conto.