Gira e rigira, siamo sempre lì, nel minuscolo acquario della sinistra «migliore». Anche le Sardine hanno deciso di nuotare a vuoto. Ieri i quattro leader (Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori, Giulia Trappoloni) hanno scritto una lettera a Repubblica per spiegare... Ecco, per spiegare cosa? Per spiegare che non sono un partito? Eppure usano già la vuota retorica dei politici navigati: «Il dialogo, che passa dall'ascolto, è l'unica sintesi di quelle differenze che, contaminandosi, rimarranno tali anche dopo essersi confrontati». Una prosa da mal di testa per dire... Ecco, per dire cosa? Quello che dice la sinistra da anni: noi siamo superiori moralmente al resto del Paese. I leader guardano la piazza piena e si stupiscono di quanto la loro città «sia migliore» di come se l'aspettavano. I capi non sono neppure sfiorati dal sospetto che la superiorità morale sia tutta da dimostrare, che il populismo non ha colore politico, non è sinonimo di demagogia e ha (anche) una storia nobile, a meno che Lev Tolstoj non fosse un ignorante. Per carità, non vogliamo difendere i populisti. Chi se ne importa? Anzi. Ci teniamo a far sapere alle Sardine che la destra non si riassume per niente nei partiti oggi sul mercato della politica. Se avessero un filo di curiosità in più, scoprirebbero che la destra, per certi versi, i più rilevanti, sta più a sinistra della sinistra attuale. Mentre la sinistra attuale si è messa a cuccia e aspetta le briciole che cadono dal tavolo dei «padroni», la destra è rivoluzionaria, almeno per l'Italia: antifascista, anticomunista, liberale e contraria al materialismo sposato integralmente dagli ex sostenitori del sol dell'avvenire. Così ingenui (o furbi) da sostenere, nello stesso momento, il peggio del capitalismo e il peggio del socialismo. Cosa ha fatto la sinistra per il tema cruciale, quello intorno al quale gira tutto, immigrazione inclusa, ovvero il lavoro? Niente. Ha fatto finta che non esistesse il problema per non dare fastidio a chi si arricchisce alle spalle della comunità: finti imprenditori, finti progressisti, veri prenditori, veri conservatori (ma solo dei privilegi garantiti loro dalla politica). Vabbè. Passiamo oltre. Le Sardine sono vittime anche di un'altra vuota retorica, quella del movimento anni Sessanta: «tavoli di lavoro», «tunnel solipsistici», «bisogno condiviso di libertà», «meccanismi di attecchimento». Cantava Giorgio Gaber: «Liberi, sentirsi liberi / forse per un attimo è possibile / ma che senso ha se è cosciente in me / la misura della mia inutilità. / Per ora rimando il suicidio / e faccio un gruppo di studio / le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani / far finta di essere sani». Questa purtroppo è la «recensione» più calzante delle Sardine.
Peccato, tanti ragazzini si sono uniti a questa protesta, giusta o sbagliata che sia, con sincero entusiasmo, convinti di poter cambiare qualcosa. Invece è la solita storia. Questo sentimento generoso meritava e merita altri capi. E la politica (la politica, sottolineiamo) di destra? Dorme, come sempre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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