Se Giulio Cesare, Leonardo o, chessò, Napoleone, fossero stati intervistati sulla propria vita o sulle proprie gesta, difficilmente avrebbero risposto come Giuseppe Conte a El Pais sulla tragica esperienza italiana sul Coronavirus: «Se potessi tornare indietro rifarei tutto quello che ho fatto». E, soprattutto, avrebbero avuto qualche dubbio guardando i dati, terribili per un Paese che ha meno di 60 milioni di abitanti rispetto a ciò che è avvenuto in Cina o in Corea del Sud: quasi 13mila morti e circa 106mila contagiati. E non è ancora finita. Solo che, a volte, l'«ego» trasforma la matematica in un'opinione. Si è pronti a convincersi di una realtà virtuale, per esorcizzare quella cruda e vera. E chissenefrega se il New York Times elenca gli errori compiuti dal governo italiano e, addirittura, l'Università di Harvard ci fa uno studio sopra per dimostrare che in molto si è sbagliato. Anche perché in un Paese educato al costume grillino, è probabile che qualcuno abbia già fatto una denuncia (così dicono) sugli errori compiuti e sulle tragiche conseguenze di queste settimane: motivo che ha spinto il premier a fare un esposto contro ignoti per la fuga di notizie sul decreto dell'8 marzo (quello che provocò l'esodo di massa dal Nord al Sud) e il «portavoce» Rocco Casalino a concedere un'intervista lunga una pagina per giurare che dietro a quella vicenda nefasta non c'è stata la sua manina.
Ma il problema vero, per parlar chiaro, non è tanto Conte, né Casalino e neppure il passato, quanto il futuro: c'è il rischio, infatti, che l'assenza di una parvenza di onestà intellettuale che permetta di guardare le cose per quello che sono state, alla fine induca molti a ripetere gli stessi errori un domani. E con questa mentalità, visto che l'emergenza sarà lunga e avrà diverse fasi, i guai potrebbero moltiplicarsi. Ad esempio, questi due mesi hanno dimostrato che un elemento fondamentale nella gestione di questa crisi è la tempestività delle decisioni: ebbene, se il governo finora ha messo sul piatto 25 miliardi con lo scostamento di bilancio, fa bene l'opposizione a chiederne almeno altri 75 per affrontare la prima fase, visto che ieri le Ferrovie da sole hanno annunciato 20 miliardi di investimenti per il 2020. Anche perché il messaggio di questi tempi è essenziale per dare fiducia all'opinione pubblica e ai mercati: in fondo è la motivazione che ha spinto Trump a lanciare un piano di investimenti di 2000 miliardi di dollari, la Merkel di 700 miliardi di euro, Macron di 300.
Appunto, i tempi non sono una variabile indipendente in questa crisi drammatica. Bisogna fare e fare subito: altrimenti una decisione non presa oggi, potrebbe non bastare se rinviata a domani. E questo vale per la crisi sanitaria, come per quella economica. Ecco perché il premier dovrebbe immergersi in un bagno di umiltà e di verità. Ne acquisterebbe in autorevolezza. E, invece, alla vigilia del vertice con l'opposizione veste i panni dell'infallibilità. Per cui se chiedi a Renato Brunetta se si possa parlare con uno che, appunto, fregandosene della realtà, afferma che in questa crisi «se potesse rifarebbe tutto quello che ha fatto», ti senti rispondere un secco «No». La verità è che il premier al confronto con l'opposizione ci arriva quasi per forza, quasi obbligato, non ci crede. Ha in testa ben altro. «È incredibile confida Matteo Renzi , lui, in una situazione così drammatica, poteva fare discorsi incredibili, come il governatore di New York Cuomo. Invece ha una narrazione tutta sua. Lo vedi nelle interviste e negli interventi: la colpa della crisi è dell'Europa; la colpa della fame è dei sindaci; la colpa della crisi economica è del virus. Insomma, le colpe sono sempre e comunque degli altri».
Detta in poche parole: Conte non è un uomo, è «un alibi». Secondo un neologismo coniato dall'azzurro Giorgio Mulè, il premier è uno «scarica-virus», fa «a scarica barile»: perché, parafrasando lo slogan di una vecchia campagna pubblicitaria, Conte non sbaglia mai. Anche se i dati, facendo i conti, sono tragici (ieri altri 837 morti).
È la vecchia strategia di comunicazione grillina, riveduta e corretta. Quei 5stelle che in questa emergenza o sono spariti o ripetono lo schema di sempre. Sono sempre gli stessi, nei periodi normali come nell'emergenza. Il «garante» Beppe Grillo, raddoppia: dopo il reddito di cittadinanza nazionale, si inventa quello universale. La proposta economica del coordinatore, Vito Crimi, rilancia il solito cavallo di battaglia: tagliamo gli stipendi. Conte, in un'interrogazione grillina, si becca un «veto» sull'utilizzazione del Fondo Salva Stati (MES) in qualsiasi modo, anche se si trovasse un'intesa che prevedesse per l'utilizzo norme meno punitive e stringenti per gli Stati, perché il problema per i 5stelle è soprattutto lessicale (sono allergici al nome). Al massimo, secondo l'europarlamentare Pedicini, l'Italia può reclamare indietro il suo contributo al Fondo di 14 miliardi di euro. Per non parlare della «grancassa» con cui Giggino Di Maio ha salutato gli aiuti di Cina e Russia, dimenticando quelli degli alleati: un atteggiamento che ha disturbato non poco il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini.
Per cui c'è da chiedersi davvero se con questa compagine puoi affrontare un'emergenza che durerà mesi, se non anni. Se riuscirai a convivere con il virus, prima di riuscire a superarlo. E i dubbi non mancano, sia per la qualità espressa dal governo in politica interna, come in quella europea e internazionale. Dubbi che stridono con ciò che è avvenuto in passato. Nel 2011 in quattro e quattr'otto fu fatto il governo Monti, per aderire ad una politica sbagliata, quella del rigore, una scelta che oggi tutti rimuovono. Oggi il problema non è quello, semmai trovare il modo di fronte ad una necessità impellente, di conquistare fiducia a livello europeo e imporre una politica: dato che devi investire «in debito» e non puoi dare una garanzia sul piano del bilancio, puoi farlo solo con un nome, che abbia l'autorevolezza di trattare in Europa alla pari. Quindi la mossa di oggi su Draghi avrebbe sicuramente ragioni più profonde della scelta che fu fatta per Monti allora. E, se ci fosse la volontà politica, un'operazione del genere non richiederebbe più di 48 ore.
E, invece, niente. A quanto pare perché Conte, scusate l'ironia, non sbaglia mai. Un atteggiamento che, invece, probabilmente, discende da un calcolo politico. Osserva Gianfranco Rotondi, un ex-dc di centro-destra, ascoltato dal premier: «L'operazione non la sta facendo Conte, ma semmai Casaleggio e Casalino. Quelli hanno trovato una pepita d'oro: sono al governo e ci vogliono restare.
La scommessa è quella di trasformare il movimento grillino vedi il rapporto con le gerarchie ecclesiastiche - in un nuovo partito cattolico di massa. In questo contesto, a tempo debito e per sua scelta, non è detto che Conte non accetti di far parte di un governo Draghi, o chi per lui».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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