«Un attimo, devo finire con l’elettricista, poi sono da lei». L’attività si è fermata soltanto un giorno alla verniciatura industriale di Alberto Malagoli, nella piccola zona artigianale di Massa Finalese.
Il terremoto gli ha distrutto il cuore dell’azienda, il forno di verniciatura. Tre pilastri di calcestruzzo giacciono a terra, caduti allineati come birilli; il tetto di cemento e lamiera ha schiacciato tutto, dalle macerie spuntano carrelli e muletti. Eppure Malagoli è già al lavoro. Un furgoncino bianco carica qualche manufatto, gli operai mettono la testa in ufficio per sapere a che ora tornare l’indomani. «Otto in punto», sorride il titolare.
Il vicino concessionario Peugeot espone le vetture sul piazzale: non si fidano a tenerle in salone. A fianco sorge una villetta fresca di ristrutturazione ma chi ci abita preferisce dormire in giardino, in camper. Più avanti, di un grande capannone di carpenteria restano soltanto due lati, e il titolare è in giro a cercare un posto più sicuro dove ricominciare.
In piazza, poco lontano dalla chiesa transennata, ha riaperto la gelateria Asterix: i titolari hanno lavorato tutta la notte. Il giorno prima, mentre pulivano, regalavano il gelato prodotto sabato: «È ancora buono, ma non possiamo battere gli scontrini...». È già partita la caccia a noleggiare le piattaforme mobili per salire sui tetti e avviare le riparazioni. Gli emiliani ripartono, senza un lamento o una recriminazione. Seduti sulle panchine al parco o davanti al portone di casa, una coperta sulle ginocchia, gli anziani si scambiano le loro disavventure. «Poteva andare peggio», ripetono. Molto peggio. «Siamo qui a raccontarcela. E abbiamo ancora una casa, i paesi non sono stati rasi al suolo». Il terremoto poteva abbattersi di giorno, con le fabbriche piene, e sarebbe state un’ecatombe. Sono caduti soprattutto edifici disabitati. La domenica nelle chiese si celebravano le prime comunioni, 65 a Mirandola dove il duomo si è sbriciolato.
A San Felice sul Panaro 30 scout che dovevano passare la notte tra sabato e domenica nella canonica vecchia avevano preferito il teatrino parrocchiale: sono crollati il campanile, una parte della chiesa, la vecchia canonica ma non il locale dove dormivano. E mentre fuggivano verso la piazza del mercato, alle loro spalle si è sgretolato il torrione.
I racconti si rincorrono, la parola «miracolo» non suona più astratta. Il terremoto costringe a guardare in modo nuovo le cose di tutti i giorni. Dice Malagoli: «Quando al mattino mia figlia Margherita ha visto il disastro della sua camera, è scoppiata a piangere.
Ma la nostra vita è da adesso in avanti. Il terremoto ti entra nell’intimo, è come se chiedesse a che cosa siamo attaccati. Se poniamo la fiducia sulle nostre cose, siamo finiti. Invece anche il terremoto può accadere per un bene. Bisogna scoprirlo».
Un bene? Tutt’al più, un male minore. Invece Malagoli insiste. «Nel 2008 a un convegno sentii parlare di crisi come opportunità. Mi sembrava una follia, ma fui spinto a chiedermi di che cosa aveva bisogno la mia azienda. Grazie ad alcuni amici allargai la clientela, e questo mi ha permesso di resistere quando la crisi è peggiorata. Nella realtà c’è sempre un positivo, una possibilità di cambiare».
Questa certezza non è finita tra le macerie, ed è una risorsa preziosa davanti alla prospettiva di lunghe settimane senza lavoro. Ancora Malagoli: «Domenica mattina un artigiano della saldatura con cui collaboro malediceva tutto, il suo capannone è pericolante e totalmente inagibile.
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