Ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, al Trinity College ha detto: «I giovani non vogliono vivere di sovvenzioni: vogliono lavorare e allargare le loro opportunità». Presumiamo, visto che giovani non siamo più, che in effetti quasi nessuno ambisca a vivere di sovvenzioni.
Negli ultimi anni l'Europa - e l'Italia in special modo - più che di opportunità si è occupata del «diritto al lavoro», delle «tutele dei lavoratori». Costruendo un mondo ideale di piena occupazione, in cui l'asticella si poteva sempre più alzare. Abbiamo talmente spinto sulle tutele che abbiamo soffocato le opportunità. Il processo è duro da invertire, chiunque abbia acquisito un diritto, lo ritiene appunto acquisito, insindacabile, irrinunciabile. Con il passare del tempo, posto che il lavoro non si genera con decreto, ma con i soldi degli imprenditori, si sono così formate due nuove classi sociali: gli insider, intoccabili, e gli outsider, sacrificabili. Quelli che i politici cercano di fare entrare nel primo insieme, sussidiandoli a spese di tutti. Una cosa da pazzi.
L'approccio al lavoro in Italia più che sindacalizzato (vivono solo grazie ai pensionati e alle imprese medio-grandi) è ipercontrattualizzato. La prima questione diventano le «ferie», i «riposi», la tipologia di contratto applicabile. Si tratta di elementi ovviamente essenziali. Ma in un mondo di opportunità, il primo approccio dovrebbe essere più sostanziale. Il lavoro per un giovane, almeno così è stato per molti ex giovani di oggi, è il primo ingresso in una struttura organizzata: come fine non ha più solo l'educazione, ma la creazione di un'esperienza. Abbiamo talmente contrattualizzato, normato, burocratizzato (si veda l'assurda vicenda della riforma dei voucher) che i giovani senza esperienza rappresentano spesso un problema per un'azienda. E per gli stessi giovani l'azienda è solo una riga in un curriculum che nessuno leggerà. Il lavoro per un ventenne è il primo serio dimensionamento della propria vita con i quattrini. Non si può confinare a un contratto collettivo. Lo sfruttamento del lavoro è il cappello sotto al quale si è pensato di porre regole sempre più stringenti. Ma non ci si è resi conto che grazie a queste regole non solo i più giovani non trovano un'occupazione, ma non la cercano.
Un tempo la vulgata
ci raccontava della conflittualità tra operai e padroni. Oggi esiste tra giovani che aspirano a realizzarsi nel mondo del lavoro e una burocrazia, supposta a loro tutela, che non permette loro l'ingresso nell'età adulta.
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