Sono sempre loro. Si rinnovano i volti, i volontari, gli attivisti e pure il nome. Ma il risultato non cambia. La nuova Organizzazione non governativa che da poche settimane pattuglia il Mediterraneo insieme alle altre navi umanitarie non ha (quasi) nulla di innovativo rispetto ai "compagni". Anzi: ha rianimato quella lotta negli ultimi tempi un po' affievolita.
Si chiama Mission Lifeline ed è una sorta di fotocopia umanitaria: usa i motti di MOAS, lo scafo di Sea Watch e sostiene la battaglia di Jugend Rettet contro la giustizia italiana. A pensarci bene, si somiglia molto con l'associazione a cui la procura di Trapani ha sequestrato la nave Iuventa con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: entrambe tedesche, entrambi sfrontate, entrambe molto ideologizzate. Non a caso la foto profilo su Facebook di Mission Lifeline è la stessa immagine messa in circolo da Jugend Rettet per chiedere la liberazione dello scafo (negata dal tribunale del Riesame). "Free Iuventa" è il grido di battaglia della nuova Ong. Di cui sinceramente non sentivamo il bisogno.
Sede legale a Dresda e base operativa a Malta, si tratta della quinta organizzazione tedesca a prendere il largo. "Rafforzeremo la densità di pattugliamenti nella zona di ricerca lungo la costa libica", scrivono nel loro sito internet. Che gioia. Il fondatore si chiama Axel Steier (paramedico e sociologo) e al suo fianco operano Sascha Pietsch (carpentiere esperto di legno), Anja Barthel (medico) e Mélanie Glodkiewicz (attivista dei diritti umani in mare). "Salvare vite non è solo un obbligo legale - dicono - ma una risposta umana e morale alla crisi umanitaria nel Mediterraneo". Amen.
Per finanziare le missioni giurano di basarsi "esclusivamente" sulle donazioni private. Sul sito la raccolta fondi è ferma a 19.187,58 euro sui 20.000 necessari, ma tenere a galla un'imbarcazione è ben più costoso di questa modica cifra. Sulla piattaforma Betterplace.org, infatti, appaiono a loro nome altre due campagne di crowdfunding: una ha incassato 64.750,33 euro, l'altra 450. Intanto diffondono nelle città tedesche delle scatole per raccogliere piccole donazioni e chi vuole partecipare può organizzare "concerti di beneficenza". I soldi in fondo non bastano mai: la nave sono riusciti a comprarla, ma mancano i fondi per mantenerla in acqua. Servono carburante, un nuovo sistema di comunicazione, mezzi per le riparazioni, acqua potabile e i pasti per l'equipaggio. Gli strumenti per il salvataggio (giubbotti salvagente ecc), invece, sono stati gentilmente regalati da Moas prima di abbandonare Malta alla volta del Myammar.
Per diverse settimane Axel Steier e soci hanno cercato disperatamente un natante che facesse al caso loro. Ricerca che non avrebbe dato i frutti sperati se non fosse corsa in suo aiuto l'altra Ong tedesca Sea Watch affittandogli gentilmente una delle sue tre navi: la Sea Watch 2. Dopo i lavori di ammodernamento, il cambio di nome e le modifiche al motore, Lifeline è partita e in una sola settimana è già riuscita a infrangere le (nuove) regole internazionali. Nei giorni scorsi infatti si è spinta fin dentro la zona di "ricerca e soccorso" (Sar) di Tripoli (che si estende per 100km dalle coste e in cui si può entrare solo se autorizzati), facendo infuriare la Guardia Costiera.
Mentre cercavano di trasbordare immigrati da portare nel Vecchio Continente, la Marina libica li ha intercettati, intimati di andarsene e poi ha sparato qualche colpo di pistola in aria. Mission Lifeline ha parlato di "atto di pirateria", ma sono loro a non aver rispettato gli ordini. In perfetto stile Ong: convinti che la missione umanitaria possa giustificare tutto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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