Coronavirus

Orzinuovi, la città martoriata dal coronavirus

La città è stata tra le più colpite dal coronavirus, il 2 marzo l'Istituto Superiore di Sanità aveva chiesto l'istituzione di una zona rossa che alla fine non è arrivata. Ed oggi i cittadini si chiedono se il peggio si poteva evitare

Orzinuovi, la città martoriata dal coronavirus

Forse quando si erano iniziate a diffondere le notizie sui primi contagi provenienti dalla bassa lodigiana, in questo angolo della provincia di Brescia nessuno immaginava di potersi un giorno ritrovare nell’abisso dell’emergenza coronavirus. Qui il Covid ha generato panico ed ha messo in subbuglio intere comunità.

In particolare, quella di Orzinuovi. Comune con poco più di dodicimila anime, ma al contempo riferimento economico di un vasto comprensorio bresciano, al suo interno soprattutto a marzo diversi dati hanno rivelato che qualcosa non è andata per il verso giusto: “L’altro giorno il parroco ha scandito, uno dopo l’altro, i nomi di 104 vittime”, ha dichiarato al telefono Nicola Fratelli, direttore di TeleOrzi.

Con la sua emittente ha seguito, giorno dopo giorno, l’evolversi della vicenda. Tutto è partito a fine febbraio, subito dopo i casi relativi a Codogno e collegabili al focolaio della bassa lodigiana, prima zona rossa d’Italia: “Siamo stati travolti da un’onda senza accorgercene – ha proseguito Fratelli – Eppure posso testimoniare che da subito abbiamo preso le giuste misure. Il sindaco qui ai primi di marzo aveva già chiuso tutto”.

Guardando una comune cartina geografica, si può ben comprendere come Orzinuovi si sia ritrovata nel triangolo della morte dell’emergenza. Crema, Lodi, Codogno, sono soltanto alcuni degli epicentri del virus posti non lontano dai confini del comune del bresciano. Cremona, la città nel cui ospedale quasi subito i posti di terapia intensiva non sono più bastati per accogliere i pazienti Covid, è raggiungibile percorrendo pochi minuti lungo la A21, l’autostrada che porta poi verso Piacenza, ossia un’altra città direttamente colpita dal focolaio lombardo.

E poi l’intera bassa lodigiana non solo è geograficamente vicina ad Orzinuovi, ma culturalmente ed economicamente le varie comunità di queste zone hanno da sempre forti rapporti: “Ogni giorno lungo l’asse con il lodigiano – ha confermato Nicola Fratelli – Ci sono centinaia di persone che si spostano, l’economia tra queste zone è molto interconnessa”.

Ma, è la domanda che oggi si pongono gli abitanti di Orzinuovi, come mai il coronavirus ha colpito proprio qui? Ancora non è del tutto chiaro e, forse, mai si giungerà ad una spiegazione provata e definitiva. Sulle cause che hanno reso Orzinuovi uno dei territori più colpiti d’Italia ci sono al momento solo delle ipotesi che non hanno ricevuto una conferma. Tra queste, quella relativa ad un possibile focolaio sviluppatosi per via del mercato del fieno che si svolgeva ogni venerdì nel piazzale del Palazzetto dello Sport di via Lonato: “Ma è tutto da verificare – ha spiegato ancora Fratelli – Lì ci andavano persone solo addette ai lavori”. Orzinuovi però è una città a vocazione agricola e le attività di scambio nel settore zootecnico non sono state sottovalutate tra le possibilità di contagio. I camion che arrivavano in città, carichi di materiale, partivano proprio da Lodi e Pavia, le città sin da subito colpite dal virus. Dopo il 28 febbraio, il sindaco ha provveduto a chiudere il mercato.

Non c'era solo la possibilità di una diffusione del Covid-19 all’interno del mercato, v’è da considerare anche un altro aspetto. I camionisti, prima di arrivare a Orzinuovi facevano sosta in un bar frequentato soprattutto da anziani, molti dei quali sono venuti a mancare poco dopo a causa del coronavirus. Si tratta di un locale vicino i giardini pubblici, poco fuori dal centro. Non è stato quindi escluso che questo via vai dal bar ha consentito al virus di circolare con maggiore rapidità.

Sono solo ipotesi, non ci sono ancora delle spiegazioni che vanno assunte come assolute. Alla stessa stregua di quella sopra menzionata, n’è stata avanzata un’altra. Anche questa non può essere data per assodata.

Si è parlato infatti del bocciodromo come possibile luogo di contagio fra gli anziani. Anche l’ex commissario tecnico della nazionale Cesare Prandelli, nativo di Orzinuovi, aveva sostenuto questa possibilità: “Forse si è sviluppato al bocciodromo- aveva dichiarato - o al mercato del fieno, di sicuro c'erano persone di Lodi che inconsapevolmente possono aver iniziato il contagio”.

L’ipotesi è stata smentita dal consigliere di maggioranza Tiziana Brizzolari, che è anche figlia del presidente del bocciofila. La Brizzolari ha detto che quelli sul bocciodromo sono stati solamente dei pettegolezzi privi di fondamento.

Quale sia stata la causa, sulla quale comunque si sta ancora indagando, sta di fatto che questo comune con i suoi quasi 13 mila abitanti ha vissuto momenti terribili a causa della pandemia. Circa tre morti ogni due giorni, presenze che sparivano dalle famiglie e dai contatti di amicizia al di là di ogni tentativo fatto per tenerli in vita. I numeri appaiono impietosi: solo a marzo 81 vittime, nello stesso mese del 2019 il numero si era fermato a 16. Sulle cifre però, c’è un giallo: ufficialmente l’Ats ha registrato 41 morti per via del Covid, ma potrebbero essere molti di più. Togliendo alle 81 vittime di marzo il numero di chi è venuto ufficialmente a mancare per il coronavirus, i morti non colpiti dall'epidemia sarebbero 40, un numero sempre molto più alto rispetto al marzo del 2019. Potrebbero quindi esserci vittime non conteggiate nel bilancio ufficiale del disastro.

Il 10 marzo scorso il sindaco Gianpietro Maffoni aveva già lanciato l’allarme. Nel giorno in cui l’Italia ha appreso di entrare nel lockdown, Orzinuovi contava già 11 morti e la popolazione era in allarme: “Questo è un virus micidiale e siamo tutti coinvolti”, ha raccontato quel giorno Maffoni a FanPage. Il focolaio era ben evidente e, nei giorni successivi, è saltata fuori una nota dell’Istituto Superiore di Sanità in cui si chiedeva l’istituzione di una zona rossa sia per Orzinuovi che per Alzano e Nembro, i due paesi epicentro del contagio nella bergamasca. Così come sottolineato nel reportage di Andrea Indini e Giuseppe De Lorenzo su InsideOver, lo stesso sindaco Maffoni, che è anche senatore di Fratelli d’Italia, aveva depositato un’interrogazione parlamentare sul motivo della mancata zona rossa.

Maffoni, in questi giorni caratterizzati dalla ripartenza, non ha risposto al telefono: “Sono molto impegnato per adesso”, ha dichiarato. Dell’interrogazione in paese, ha spiegato Nicola Fratelli, non si è saputo molto: “Sì, c’è questa polemica sulla zona rossa, ma ancora la vicenda non è stata del tutto chiarita”. Certo è che, dati alla mano, qualcosa tra fine febbraio ed inizio marzo è accaduta: seguendo la curva del contagio di Orzinuovi, il picco è stato registrato tra il 17 ed il 19 marzo. Considerando i 14 giorni di incubazione del virus, il danno per la cittadina è arrivato proprio nei giorni in cui si paventava l’istituzione di una zona rossa. In totale, fino al 10 maggio, il paese ha contato 209 casi di contagio, ma 150 di questi sono stati accertati soltanto entro il 19 marzo. Un ulteriore segno di come la tragedia si è consumata durante le prime tre settimane di emergenza.

“Se si chiudeva prima, forse il picco non l’avremmo raggiunto ma è difficile dirlo con certezza”, ha commentato ancora Nicola Fratelli. Quest’ultimo poi, non si spiega la vicinanza delle situazioni con la bergamasca: “Non abbiamo storicamente molti contatti con quella zona della provincia di Bergamo – ha sottolineato – Forse è solo frutto del caso”. Forse però, il caso Orzinuovi è, come detto in precedenza, figlio delle interconnessioni con la bassa lodigiana ma anche con il resto del bresciano. In questa provincia il primo caso è stato accertato a Pontevico il 24 febbraio, una settimana dopo la stessa Orzinuovi era già in emergenza. C'è poi una peculiarità tra i focolai di Codogno ed Alzano e quello di questa cittadina bresciana: qui non c’è un ospedale in grado di fungere da detonatore dell’epidemia.

“Ci si sentiva impotenti – ci ha raccontato Gianluca, un ragazzo cresciuto ad Orzinuovi – Era una sensazione terribile. Bastava avere mal di gola e già lo spettro del virus non faceva dormire la notte”. Lui è tra quelli che, lo scorso 1 maggio, è tornato per la prima volta al cimitero: “Ci hanno dato la possibilità di visitare il Campo Santo – rivela – Impressionante vedere tutte quelle foto di gente che, pochi giorni prima, incontravi al bar”. Ed ancora una volta sono i bar a tornare nel racconto degli orceani: come detto in precedenza, forse qualcosa è successa dentro alcuni di questi locali. Sono anziane la gran parte delle vittime, molte delle quali frequentavano quei luoghi.

Ed ora Orzinuovi, in attesa della verità sul perché dei contagi e sulla zona rossa mancata, conta le vittime: domenica scorsa il parroco locale ha letto i nomi di chi non c’è più, di chi non ha più potuto salutare nipoti, affetti ed amici.

E si prova a ripartire, anche se la paura è ancora tanta.

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