Scena del crimine

Le manette per l'anoressia della figlia: "Vi dico cosa c'entra il papà"

Avrebbe sminuito il disturbo alimentare della figlia, che sarebbe diventata anoressica anche per non perdere, crescendo, l'affetto del padre. Una storia che fa nascere diversi interrogativi: che cos'è l'anoressia e quali sono i meccanismi alla base? Lo spiega a IlGiornale.it la psicologa Alessia Santoro

Le manette per l'anoressia della figlia: "Vi dico cosa c'entra il papà"

Non riconosceva il disturbo alimentare della figlia e ne sminuiva l'importanza, aggravando la malattia. A Torino un uomo è stato condannato a due anni e mezzo di carcere, e questo avrebbe influito nella condanna. Dal canto suo la ragazza avrebbe sostenuto di essere diventata anoressica perché temeva di perdere l'affetto del padre. Una vicenda, riportata anche dal Corriere della Sera, che non può lasciare indifferenti e fa sorgere diversi interrogativi sui rapporti tra figli e genitori e sull'approccio comune ai disturbi alimentari, di cui l'anoressia fa parte. "I genitori sono i primi specchi dei figli", spiega a IlGiornale.it la dottoressa Alessia Santoro, psicologa di Milano specializzata anche nei disturbi del comportamento alimentare.

Partiamo col comprendere questo disturbo alimentare: che cos'è l'anoressia?

"Il termine deriva dal greco an e órexis, che significa 'senza appetito'. Si tratta di un digiuno protratto, che inizia con un'idea di dieta. Per questo, inizialmente, queste persone ricevono spesso rinforzi dall'esterno, dato che la prima fase coincide con una semplice dieta, che si manifesta con un senso di energia e porta a un miglioramento dell'aspetto fisico. Poi però questo digiuno continua con regole sempre più restrittive, che vanno contro qualsiasi logica di dieta equilibrata: i pazienti sanno bene che stanno esagerando, ma continuano perché sono caratterizzati caratterialmente da una rigidità mentale e da una tenacia profonda difficili da contrastare".

A cosa può portare questa rigidità?

"Andando avanti si arriva anche al punto di confondersi, senza rendersi conto di quale sia il giusto quantitativo calorico da assumere durante la giornata, tanto che un pasto giornaliero può consistere solamente in 5 fagioli. La confusione riguarda anche il proprio corpo, del quale non si ha più una percezione reale: le persone anoressiche non riescono a capire se siano grasse, non hanno più un criterio di normalità. Tanto è vero che ricorrono moltissimo alla bilancia. Un altro aspetto fondamentale è quello del controllo massimo di sé, del corpo, tanto che spesso le persone anoressiche controllano ogni loro prestazione o rapporto interpersonale: devono sempre dare il massimo o il meglio di sé, come se la vita fosse una performance".

Il rapporto con gli altri può influenzare questo disturbo?

"Certo. I pazienti che soffrono di anoressia sono caratterizzati da una ipersensibilità e da un continuo bisogno di approvazione e di grande sostegno dall'esterno. È come se avessero sempre un deficit di riconoscimento, di approvazione, come fossero sempre carenti di questa parte e dovessero sempre cercare di rifornirla. In queste persone è presente una profonda fragilità e sensibilità, tanto che fanno spesso fatica a reggere un mancato riconoscimento, una critica, che diventa la ferita sulla quale poi costruiscono le proprie paure e le proprie ansie".

Nel caso della ragazza di Torino, il disturbo potrebbe essere stato influenzato da un bisogno di accettazione da parte del padre?

"Assolutamente sì: i genitori (e per le ragazze il padre) sono una figura fondamentale e sono i primi specchi dei propri figli. Ma spesso i genitori non si accorgono di rimandare un'immagine che ricalca il meccanismo sbagliato del rinforzo, esaltando i propri figli quando ricevono buoni risultati, invece che riportarli alla normalità di un possibile fallimento".

Anche sminuire il disturbo può essere dannoso?

"Certo. C'è una correlazione tra rinforzare e sminuire. Spesso questi genitori diventano controllanti, ricchi di aspettative e di rinforzi, e dall'altra parte tendono a sminuire la gravità del disturbo, perché non riconoscono il reale bisogno del figlio o della figlia e nemmeno la loro fragilità, i loro reali bisogni, le difficoltà di crescere: è esattamente come sminuire una parte autentica e profonda della persona, mentre viene esaltata la parte di performance. È anche per questo che il figlio continua a portare avanti il circolo di prestazione e rinforzo, perché ottiene un riconoscimento. Le persone anoressiche dicono spesso che riescono a raggiungere il proprio bisogno di apprezzamento tenendo il peso basso, altrimenti si ha paura di non piacere, di non riuscire più suscitare un senso di protezione: quante volte l'ho sentito dire".

Questo senso di protezione potrebbe essere alla base del meccanismo che ha portato all'aggravarsi dell'anoressia della ragazza?

"Sì, rientra in questo caso. L'idea è quella di sacrificare il proprio corpo per non crescere, così si rimane dentro a una protezione genitoriale e sociale, evitando di andare incontro al processo di crescita, che porta a separazioni, conflitti e disapprovazioni. Da un punto di vista del legame invece il caso rientra in una dipendenza affettiva col genitore da cui non ci si riesce a separare e ad affermare: rimane il genitore quello che decide chi deve essere il figlio, senza lasciargli la possibilità di prendere in mano il processo di identità, anche perché una parte profonda di sé non gli viene riconosciuta".

In questo campo è possibile fare prevenzione?

"Sì, le scuole sono il nostro grande bacino, dove si deve iniziare a spiegare che esistono meccanismi di questo genere, alla base dell'anoressia. La prevenzione deve essere pensata su larga scala, sia rivolgendosi ai ragazzi che ai genitori, ma non è ancora stato pensato un vero e proprio programma continuativo. Ci sono buone associazioni, ma sarebbe utile parlare più spesso dei disturbi alimentari. Una prevenzione più costante aiuterebbe a risparmiare moltissimi casi.

In questo senso c'è ancora tanto da fare, ma si può fare e si possono avere risultati".

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