Cronache

Il paradosso Anm: assolve i giudici ma processa i cronisti

Il paradosso Anm: assolve i giudici ma processa i cronisti

Una specie di agenzia Tass in toga, un Minculpop 2.0, chiamato a dare pagelle - a colpi di tweet - ai giornalisti che si occupano di giustizia, decidendo d'ufficio quali cronache offrano all'opinione pubblica «una veritiera e comprensibile ricostruzione dei fatti (...)

(...) e delle decisioni». A stabilire se gli articoli sui giudici saranno «veritieri e corretti» saranno i giudici stessi, visto che ad assumere su di sé la nuova mission è la sezione milanese dell'Anm, l'associazione nazionale magistrati, ovvero il sindacato delle toghe, con un comunicato diramato ieri.

Lo spunto è l'ordinanza che nello scorso agosto rimise in libertà uno spacciatore, arrestato in flagrante in via dei Transiti, uno dei suk milanesi della droga, scarcerato dal tribunale del Riesame nonostante fosse carico di precedenti, cioè facesse lo spacciatore di mestiere. «Non avendo alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l'unico modo per mantenersi», scrivevano i giudici, come riportato testualmente dal Giornale il 29 agosto. E la cosa suscitò notevole scalpore.

L'articolo spiegava chiaramente che non era per quel motivo che lo spacciatore veniva messo in libertà, ma perché la quantità di droga di cui era stato trovato in possesso era esigua. Ma la frase sullo spaccio «unico modo per mantenersi» aveva ugualmente fatto effetto, visto che la «professionalità» della attività criminale non era stata sufficiente perché i giudici tenessero l'uomo a San Vittore. Unico provvedimento era stato l'ordine di non presentarsi più a Milano. Cinque giorni dopo, ovviamente, il soggetto era di nuovo lì, in via dei Transiti, a vendere droga.

Il comunicato dell'Anm conferma, come scritto nell'articolo, che la scarcerazione «discende dal dato normativo incontrovertibile: l'impossibilità di applicare la custodia in carcere nell'ipotesi di piccolo spaccio». Ci si aspetterebbe che a quel punto i magistrati si scagliassero contro la follia di una legge che permette di vendere droghe pesanti alla luce del sole, senza alcun rischio di finire in galera anche se si è degli spacciatori di mestiere, gente che - come il soggetto preso in via dei Transiti - ha il crimine come unica fonte di sostentamento. E invece no. Anziché con la legge che salva gli spacciatori, l'Anm se la piglia con la cronista che ne ha descritto gli effetti, accusandola di avere fornito il pretesto per ulteriori «attacchi e delegittimazioni dell'autorità giudiziaria».

Ma a colpire sono soprattutto le conclusioni del documento e le decisioni assunte dall'Associazione: «La diffusione di notizie di tal fatta minano (sic) la fiducia dell'opinione pubblica nell'operato dell'autorità giudiziaria». Un'accusa quasi di disfattismo (articolo 265 del codice penale, fortunatamente applicabile solo in tempo di guerra) che porta l'Anm a annunciare la sua discesa in campo per «promuovere la corretta informazione sui provvedimenti di particolare clamore mediatico, fornendo all'opinione pubblica una veritiera e comprensibile ricostruzione dei fatti e delle decisioni, anche avvalendosi dei social media», come l'account twitter @AnmMilano. L'opinione pubblica verrà finalmente illuminata dai giudici sulle decisioni dei giudici.

Peccato che l'account dell'Anm di Milano abbia per ora 127 seguaci: non lo leggono neanche i magistrati.

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