Cronache

Pensioni, la rivalutazione di nuovo alla Consulta

La mancata rivalutazione delle pensioni torna sul tavolo della Corte costituzionale. Un'altra mazzata all'orizzonte per le casse dello Stato. Il tribunale di Palermo ha appena rispedito alla Consulta il decreto legge con il quale il governo aveva tentato di porre rimedio alla sentenza dello scorso aprile, la quale a sua volta censurava l’azzeramento della perequazione

Pensioni, la rivalutazione di nuovo alla Consulta

La mancata rivalutazione delle pensioni torna sul tavolo della Corte costituzionale. Un'altra mazzata all'orizzonte per le casse dello Stato. Il tribunale di Palermo ha appena rispedito alla Consulta il decreto legge con il quale il governo aveva tentato di porre rimedio alla sentenza dello scorso aprile, la quale a sua volta censurava l’azzeramento della perequazione. Il nuovo pronunciamento non sarà naturalmente immediato, ma se andasse nella stessa linea della sentenza 70 il governo si troverebbe nella necessità di correre di nuovo ai ripari. La vicenda, come riporta il Messaggero, nasce dal ricorso di un pensionato (difeso dagli avvocati Riccardo Troiano e Alessia Ciranna dello studio Orrick) che nel 2013 aveva chiesto ai giudici di dichiarare l’illegittimtà del cosiddetto decreto salva-Italia, nella parte in cui appunto cancellava completamente la rivalutazione spettante nel biennio 2012-2013 alle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps. Il blocco era stato ritenuto incostituzionale in quanto applicato anche a pensioni di importo non elevato e per un periodo di due anni consecutivi, in nome di una non meglio precisata (secondo i giudici) "contingente situazione finanziaria".

Se in precedenza la Consulta aveva ammesso interventi limitativi della perequazione, in via eccezionale, la norma Monti-Fornero era stata invece giudicata troppo sbilanciata a favore delle esigenze finanziarie dello Stato, rispetto a quelle del pensionato di vedere tutelato l proprio potere d’acquisto. Erano stati così violati, per la Corte, gli articoli 36 e 38 della Costituzione, nelle parti in cui richiedono rispettivamente la proporzionalità del trattamento pensionistico, inteso come retribuzione differita, e la sua adeguatezza. A quella sentenza il governo aveva risposto cercando di limitare danni e prevedendo quindi una restituzione solo parziale delle somme a suo tempo non attribuite, in misura decrescente al crescere dell’importo: 40 per cento per le pensioni tra tre e quattro volte il minimo, 20 tra quattro e cinque, 10 per cento tra cinque e sei. Al di sopra delle sei volte il minimo non era stato previsto alcun rimborso. Così il pensionato, un ex dirigente il cui trattamento nel 2011 superava di poco i 2 mila euro lordi al mese si è visto riconoscere una rivalutazione pari solo al 20 per cento di quanto teoricamente dovuto e per di più senza la possibilità di recuperare negli anni successivi quanto comunque perso a causa del nuovo meccanismo.

Per il tribunale di Palermo tutto ciò non basta a rispettare le osservazioni dei giudici costituzionali ed è quindi fondata la richiesta di ridare loro la parola.

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