Nelle università italiane gli studenti cominciano a scarseggiare. In otto anni le iscrizioni sono calate del 15%. L’anno scorso solo tre diciannovenni su dieci hanno deciso di proseguire gli studi dopo il diploma e solo due trentenni su dieci ha una laurea in tasca. Troppo poco se si pensa che la Ue chiede, entro il 2020, una laurea per il 40% dei trentenni. Anche tra quelli più giovani non ci sono novità positive. Nella classe di età 25-34 siamo al 20% di laureati in Italia contro il 37% nel complesso dei Paesi Ocse. Il nostro paese, dunque, diventa un fanalino di coda anche nella corsa agli studi e i motivi di questa disaffezione sono molteplici. La crisi economica è la madre di tutte le colpe. I ragazzi sono demotivati a studiare per un quarto di vita poichè il mercato non offre garanzie di occupazione immediata: perché fare il medico disoccupato o sottopagato se fare l’idraulico rende di più e in tempi brevi? Anche le famiglie non sembrano più disposte a sopportare sacrifici per «mantenere i figli all’università». Ci sono priorità ben più gravi da sostenere e il costo aggiuntivo per il miraggio di una laurea diventa proibitivo. Anche chi sceglie di mandare iscrivere il proprio figlio all’università lo fa tenendo d’occhio al portafoglio e non alla qualità dell’ateneo. Infatti, l’anno scorso, la metà degli studenti ha frequentato un’università nella stessa provincia in cui si è diplomato, il 26% in una limitrofa. Solo il 12% si è spostato dal Sud al Centro-Nord e un esiguo 2% è andato all’estero. La fotografia dei laureati nel 2011 scattata da AlmaLaurea sconforta il direttore Andrea Cammelli: «Il fatto che solo il 29% dei 19enni italiani si sia iscritto all’università nel 2010-2011 è un dato allarmante - denuncia- in molti si fermano anche prima e solo il 20% della popolazione tra i 30 e i 34 anni ha una laurea contro l’obiettivo europeo 2020 del 40%. Investire sull’istruzione superiore aiuta a far crescere il paese».
Dunque, per il momento possiamo solo consolarci con qualche dato positivo. Come la diminuzione drastica dei fuoricorso. Mentre nel 2001 quelli che hanno finito gli studi in corso erano il 10% ora sono il 39%. Insomma, quei pochi che resistono, studiano di più, frequentano le lezioni più assiduamente e trovano più opportunità di studio all’estero e di stage. Poi c’è il pianeta donna. Sempre più attivo ed efficiente. Si laureano quasi un anno prima dei maschi (a 26,4 anni contro i 27,1) e sono più regolari nello studio: nel 2011 si è laureato in corso il 40,6% delle donne contro il 36,4% degli uomini. Unica dolorosa pecca: nel mercato del lavoro, osserva Almalaurea, la presenza delle donne stenta a essere riconosciuta adeguatamente. Quella italiana sembra un’università che stenta a ottenere la sufficienza. Dotata però di grandi potenzialità.
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