La retorica degli «sprechi» è una delle più discutibili diffuse in questi anni dalle forze politiche «anti-politiche». Sappiamo infatti che le democrazie costano più delle dittature, quelle appena mezze elogiate da Beppe Grillo. Tanto che il referendum sul taglio dei parlamentari, che avrà luogo domenica e lunedì, è spinto proprio dalla esigenza di ridurre gli sprechi. Ma ammettiamo che sia cosi - e noi non lo crediamo - e che eliminare le spese sia una questione cosi dirimente, questo principio dovrebbe valere per tutte le istituzioni: per i parlamentari, per i ministri, ma anche per le alte burocrazie, per i magistrati e, last but not least, per la Corte costituzionale. Fresca di elezione del suo nuovo presidente, Mario Morelli, che resterà in carica... per tre mesi. E qui il cittadino si chiede come sia possibile che il presidente di un'istituzione cosi importante possa scadere con una data solo un po' più lunga di quella di un yogurt. E sfogliando la lista dei presidenti della Corte ci si accorge che si va dai più duraturi Gaspare Ambrosini e Gaetano Azzariti (ex presidente del Tribunale della Difesa della Razza) negli anni Cinquanta fino al solo mese di Vincenzo Caianiello nel 1995. Scrutiamo anche un'altra tendenza, che nel corso degli ultimi vent'anni i mandati sono sempre più brevi: solo Franco Bile ha superato i due anni, e la media di durata è un anno scarso. E questo parallelamente a una tendenza della Corte a «fare giurisprudenza», come si dice in gergo, cioè a intervenire in maniera fattiva al formarsi della legge in Italia, assieme a un'altra caratteristica, quella di essere di fatto egemonizzata dalla sinistra. Serve la Corte Costituzionale? Nel nostro ordinamento è prevista dalla Costituzione ma non è un'istituzione indispensabile alla democrazia come, ad esempio, il Parlamento. La Francia non ne ebbe una fino al 1958, in Gran Bretagna non esiste, mentre negli Stati Uniti la Corte suprema è una istituzione con finalità e obiettivi diversi. Ora non stiamo certo proponendo l'abolizione della Consulta ma da cittadini normali potremmo pretendere che si adegui al clima di austerità richiesto a tutti i cittadini e alle altre istituzioni. Mentre il breve mandato dei presidenti della Corte ha obiettivi esattamente opposti, quelli di assicurare una pensione d'oro, come dicono i fanatici dei tagli, o in ogni caso più alta, agli ex presidenti, facendogli fare un giro di valzer alla guida sia pure per poche settimane: sta di fatto che in 64 anni i presidenti sono stati 43, una media di poco più di uno all'anno. E come può operare un'istituzione certo non leaderistica ma in cui il ruolo del presidente non è puramente onorifico, in maniera fattiva, con una tale volatilità della sua guida? E poi per ragioni di etica pubblica; si parla tanto di meritocrazia e si stigmatizzano gli incarichi assegnati solo secondo il criterio dell'anzianità, che è però quello principale utilizzato dalla Corte per eleggere il suo capo. L'impressione è che la prassi consenta anche, prima o poi, a tutti i membri o quasi, di spartirsi il potere della presidenza, all'interno di una stessa area politica peraltro. Ma allora si faccia una legge che trasformi la Consulta in un'istituzione acefala, uno vale uno, anche nel trattamento pensionistico.
Oppure la si renda veramente una istituzione leaderistica, in cui il presidente resti in carica tre anni veri, non al massimo tre mesi come nell'attuale situazione: un lasso di tempo più che sufficiente per impostare una direzione a una istituzione diventata sempre più interventista.Altrimenti prevarrà l'interventismo senza volto, tipicamente all'italiana: dove c'è qualcuno che lancia il sasso, ma non si vede mai la sua mano.
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