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La posta in gioco

Tocca ai giudici accettare o rifiutare il ricorso di Alfredo Cospito sul 41 bis.

La posta in gioco

Il 24 febbraio sta arrivando, ma l'impressione è che comunque sia tardi. C'è una voce che manca in questa storia. Al momento è solo un orizzonte. È quella della Corte di Cassazione. Tocca ai giudici accettare o rifiutare il ricorso di Alfredo Cospito sul 41 bis. Non è una variabile marginale. Solo che sta lì, come se non fosse importante, un'altra scusa per dire da che parte stai. Pollice su a sinistra, pollice giù a destra. La domanda invece è un'altra. Cospito va sottoposto a un regime carcerario speciale oppure no? La risposta spetta alla Cassazione. All'inizio non ha avuto particolare fretta e non ha considerato i cento e passa giorni di sciopero della fame un buon motivo per accorciare i tempi. È qui che la sorte di Cospito diventa un campo di battaglia politico. Solo allora i giudici si sono mossi, l'udienza prevista per il 20 aprile viene prima anticipata al 7 marzo e ora al 24 febbraio. È una corsa per recuperare il tempo perduto. Solo che l'uomo Cospito non esiste più. È un simbolo, uno strumento, una strada per regolare questioni più meschine.

La vera posta in gioco ha poco a che fare con Cospito. Non è neppure una riflessione etica sul carcere, sul senso dei diritti e delle pene. Non tocca neanche il senso del 41 bis. È da abolire? È da ripensare? La realtà è che nessun partito pensa di metterci mano. È roba che scotta e tira in ballo la fragilità di un Paese che da troppo tempo deve fare i conti con le metastasi della mafia e la follia del terrorismo. Non è questo il motivo della disfida. Allora perché sinistra e destra hanno messo su questo spettacolo sulla pelle di un anarchico? Su cosa si stanno insultando? Semplice. Sulla riforma della giustizia.

Non a caso Stefano Folli, su Repubblica, evoca la speranza più o meno sommersa del Pd. Il caso Cospito mette a rischio la grande riforma della giustizia, liberale e garantista, sognata da Carlo Nordio. Il Guardasigilli da questa storia ne uscirebbe più debole, sfarinato dal dibattito parlamentare, con lo spettro di una versione anarchica, surreale, di anni di piombo. Se la battaglia reale allora è questa, la maggioranza di governo deve lasciare ai giudici il destino di Cospito e lavorare sul serio alla riforma della giustizia. È lì il virus. È uscire da quel paradosso che inquina la res publica, per cui la politica è giustizia e la giustizia è politica. È un cortocircuito da cui non si sfugge. Neppure adesso. La sorte di Cospito non doveva finire in una rissa parlamentare da bar.

Il suo futuro non dipende dalla politica.

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