Un posto al sole

A volte se si presta attenzione alle ricostruzioni sulle stragi di Cosa Nostra che nascono dalla fervida fantasia del solito "circoletto" depositario di un ipotetico copyright dell'antimafia come minimo resti perplesso

Un posto al sole
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A volte se si presta attenzione alle ricostruzioni sulle stragi di Cosa Nostra che nascono dalla fervida fantasia del solito «circoletto» depositario di un ipotetico copyright dell'antimafia - cioè pm d'assalto e cronisti che si sono inventati una laurea sull'argomento - come minimo resti perplesso: una lunga serie di insinuazioni, ricostruzioni non fattuali, suggestioni e teoremi. Una narrazione inventata in laboratorio e non il risultato di un'indagine giudiziaria che per essere seria ha bisogno di riscontri e non di ipotesi. Tant'è che la sceneggiatura del «circoletto» cambia continuamente: viene scritta una menata, non regge e allora con disinvoltura viene sostituita da un'altra come se niente fosse. Il racconto è dinamico e muta a seconda delle cantonate. Gli unici personaggi che non cambiano sono Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri: quelli ci sono sempre perché nell'immaginario ideologico del «circoletto» hanno l'imperdonabile colpa di aver vinto le elezioni trent'anni fa e, visto che la sinistra già si stava spartendo la vittoria, per riuscire nell'impresa non potevano non essere amici dei mafiosi.

Questo è l'assunto, il resto è cangiante secondo il momento. Per anni, ad esempio, il «circoletto» ha tentato di far dire ai carabinieri autori dell'arresto dei fratelli Graviano che la soffiata l'avevano avuta da Salvatore Baiardo: serviva per accreditare un «cazzaro» come teste autorevole. I militari dell'Arma, che per tradizione son testardi, per amore di verità non hanno ceduto, anche se hanno avuto i telefoni sotto controllo per un anno. Motivo per cui ne hanno inventata un'altra, il romanzo della presunta foto di più di trent'anni fa di Berlusconi insieme ai Graviano sulle rive di un lago (la location più appropriata per un romanzo decadente). Altra cantonata che al netto di sviluppi clamorosi è uscita dal racconto con la stessa velocità con cui vi era entrata. Anche perché nel frattempo si è visto servire sul piatto come il cacio sui maccheroni la storia dei 30 milioni di euro che Berlusconi ha lasciato a Marcello Dell'Utri nel testamento: naturalmente per loro è la prova del ricatto e non il riconoscimento del Cav ad una persona che per la sola colpa di essere suo amico e di essere nato in Sicilia ne ha sofferte tante. Ti pare.

Per cui, racconto dopo racconto, sorge il legittimo dubbio che siamo di fronte a degli allucinati, cioè a gente che soffre di allucinazioni. Poi, però, ti accorgi che sono più furbi che tonti: con tutte queste storie il «circolino», vezzeggiativo di circo mediatico-giudiziario, si è conquistato un posto al sole. Tutti i componenti sono finiti sotto i riflettori, hanno scritto libri, diretto docufilm, prodotto serie tv, conquistato talkshow. E ora per non tornare nell'ombra, per difendere il loro core business, debbono tener vivo il racconto. Costi quello che costi. Pure il ridicolo. E che importa se le stragi non c'entrano niente con la discesa in campo del Cav, visto che la storia ha altre date: la storia per loro è come una sceneggiatura, la piegano come fa più comodo. Si sono concessi una licenza storica come i poeti la licenza poetica. Anche perché sono convinti che l'«antimafia» sia cosa loro. Hanno loro il bollino con cui contrappongono i loro racconti, appunto, allucinati alle affermazioni vere e sofferte di Marina Berlusconi. Sono loro a decidere chi partecipa alle fiaccolate.

E che importa se boss come Provenzano e Messina Denaro sono stati catturati mentre al governo c'era il centrodestra. Sono loro che scrivono la storia. O meglio la piegano. Sono loro - come scriveva Leonardo Sciascia - «i professionisti dell'Anti-mafia».

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