Politica

Il premier aggiusta-tutto per incollarsi alla poltrona

Nel cortile di Montecitorio, Luca Carabetta spiega la condizione dei 5stelle divisi tra il "pragmatismo" ministeriale e l'accusa di non credere a più niente

Il premier aggiusta-tutto per incollarsi alla poltrona

Nel cortile di Montecitorio, unico luogo della Camera dove è permesso non indossare la mascherina, Luca Carabetta, spiega la condizione dei 5stelle divisi tra il «pragmatismo» ministeriale e l'accusa di non credere a più niente. «Noi spiega una delle menti più lucide del grillismo di governo non siamo come il Pd. La nostra base si incazza anche se invece di ottenere il 100% porti a casa l'80%. Se tu chiedi a dieci grillini cosa è oggi il movimento ti danno dieci risposte diverse. Il governo ti cambia. A questo punto non sarebbe sbagliato avere al nostro interno diverse correnti di pensiero. Invece, ci dividiamo sempre sui nomi. Se scende in campo il Dibba per la leadership del movimento si proporrà anche Di Maio. Invece, servirebbe definire la nostra nuova identità». Lì dentro c'è malessere, la metamorfosi delle auto blu ha corrotto alcuni sul piano del costume, mentre altri sono sprofondati nella paura del futuro. Per cui c'è chi si rifugia nell'antico, nell'ideologia del passato, quella che cavalca Alessandro Di Battista, e chi, invece, è pronto a giocare tutte le partite meno una: le elezioni. Racconta Roberto Bagnasco, un forzista che spesso si intrattiene con i grillini: «Questa mattina due di loro mi hanno detto: Con voi, contro di voi o come vi pare. L'importante per noi è stare qui due anni e mezzo. Non credono più a niente». Addirittura il 5 stelle campano, Salvatore Micillo, tra il serio e il faceto arriva a dire: «Andiamo avanti due anni e mezzo e magari anche di più. In fondo De Luca, grazie al Covid, si è allungato il mandato di qualche mese... Scherzo». E in questa logica c'è anche chi è disposto a ingoiare quel vecchio tabù che è il Mes, come Gianfranco Di Sarno, un fedelissimo di Di Maio. «Va preso sostiene Visco ha detto che è conveniente. Non credo che a Bankitalia ci sia uno stupido».

Ebbene, Giuseppe Conte ha a che fare con questo magma, in cui albergano governativi, «no creed» (cioè gente che non crede più) e «puristi» nostalgici del grillismo di un tempo. È ovvio che il premier sia prudente, si muova circospetto. Ha a che fare con una materia pericolosa come la nitroglicerina. Inoltre non ha a disposizione lo strumento con cui ha disinnescato l'ordigno finora, cioè la paura delle elezioni anticipate, visto che anche i sanpietrini di Montecitorio hanno capito che dopo la riduzione dei parlamentari quell'opzione non esiste più. Così si rivolge agli altri leader della coalizione come il mister Wolf di Pulp fiction, l'uomo «che risolve i problemi», solo che risolve (o tenta di risolvere) quelli della sua maggioranza non quelli del Paese. In questo ruolo è un genio: un mare di parole, una cascata di promesse proiettate sul futuro, con un unico compromesso, al netto di qualche oscillazione: star fermo. Annuncia che non prorogherà quota cento, tanto manca ancora un anno. Che farà il tagliando al reddito di cittadinanza: campa cavallo. Che spazzerà via i decreti sicurezza per la gioia o l'illusione - del Pd che aspetta da un pezzo.

Insomma, promette, senza batter ciglio, di rimangiarsi tutto quello che fece il primo Conte, con la stessa nonchalance con cui su Instagram si allaccia la cravatta protagonista di una storia sponsorizzata di un brand sartoriale (solo un cretino non si scandalizzerebbe). Quello che, invece, potrebbe fare, anzi è addirittura in ritardo, non lo fa: sul Mes, cioè per non strappare un no che è la bandiera ideologica del Dibba formato Gianluigi Paragone, non si muove. Eppure con un Paese come il nostro assediato dalla seconda ondata dell'epidemia che impazza in tutta Europa, alle prese con una domanda di tamponi da far paura, i vaccini influenzali che scarseggiano, gli ospedali a ranghi ridotti di infermieri e di medici e la carenza di mille misure per mettere in sicurezza le scuole, ce ne sarebbe bisogno, eccome.

Non parliamo dei progetti del Recovery fund: mancano due settimane al fatidico 15 ottobre e anche qui solo una palestra verbale. E anche il «training autogeno» con cui il responsabile del Mef snocciola i dati della nostra economia di quest'anno, non tengono conto che il Paese va avanti grazie a dosi di «morfina assistenziale», come il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione in deroga, che si esauriranno a fine anno.

Così il modo di agire del Mister Wolf comincia a star stretto anche a chi è ricorso ai suoi servigi. Zingaretti ha bisogno di fatti, perché il risultato alle regionali lo ha certo salvato, ma se poi conti i voti ti accorgi che il piatto piange anche per il Pd. Di Maio ha vinto il referendum, ma ha visto quasi sparire nelle urne il suo movimento. Non parliamo di Renzi che quando parla del successo di Italia Viva sembra il Peter Pan che descrive l'isola che non c'è. E l'indicazione che tutti, sempre più impazienti, danno al Mister Wolf giallorosso la sintetizza in una frase il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando: «Devi spendere i soldi».

Fosse facile, è il cuore del governare: solo che per averli, devi convincere la Ue che li investi e non li getti. E qui, guardando al magma grillino, cominci ad avere dei dubbi. Tanti. Così anche se Orlando ad una forzista spiega sicuro: «Non c'è nessuna possibilità che il governo cada». E il piddino Umberto Del Basso De Caro scommette: «Ci sono 400 miliardi da spendere e nessuno rinuncerà alla sua fettina». Ebbene, c'è chi si rifiuta di mettere la mano sul fuoco sulla capacità di questo governo anche proprio di «spendere». È una disillusione che capti nei crocicchi di deputati. E la croce non viene messa solo sulle spalle dei grillini, ma anche sull'incapacità degli altri. «I 5 Stelle confida l'ex grillino Catiello Vitiello passato con Renzi non credono a più niente». «Motivo per cui si infervora un altro renziano, Gennaro Migliore dovremmo chiedere il Mes. Al costo di arrivare alla crisi. E magari avremmo sia la crisi che il rimpasto». «Io suggerisce il piddino Carmelo Miceli se fossi in voi la farei».

E già sotto sotto la maggioranza trasuda di «insofferenza». «L'ho detto a Renzi racconta Giacomo Portas, alleato dell'ex segretario del Pd se va avanti così è finito. Non abbia paura: chiedesse il Mes e se non lo danno, faccia la crisi. Tanto non si va a votare. Zingaretti che ho sentito ieri è indifferente, non la apre ma non se ne fa un problema. Pensa solo a rafforzarsi nelle prossime comunali. A Torino porteremo insieme il rettore del politecnico Saracco. Dentro il Pd c'è Delrio che non sopporta l'immobilismo e vorrebbe andare al governo. E Orlando a cui piacerebbe prendere il suo posto di capogruppo».

Solo che alla fine tutti hanno lo stesso limite che rimproverano a Mister Wolf: stanno fermi. È il vizio di una classe dirigente. Del governo e non solo. Ieri a 7 mesi dall'inizio di lockdown di primavera, il Covid è tornato a fare capolino al Senato e ha ritrovato il Parlamento inerme. «Noi racconta Graziano Delrio avevamo proposto di introdurre il voto a distanza ma Fico e i funzionari non hanno voluto.

Mi chiedo se la seconda ondata dell'epidemia contagerà il Parlamento, o ancora se ci fosse un terremoto a Roma, come garantiremo la democrazia?».

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