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Il premier Penelope

Esattamente due anni fa Luigi Di Maio si affacciò dal balcone di Palazzo Chigi per annunciare la fine della povertà in Italia

Il premier Penelope

Esattamente due anni fa Luigi Di Maio si affacciò dal balcone di Palazzo Chigi per annunciare la fine della povertà in Italia. Da pochi minuti il governo Conte Uno aveva dato il via libera alla legge che introduceva il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia della fortunata campagna elettorale grillina, e i Cinque Stelle non stavano più nella pelle dalla felicità. Come è andata a finire lo sappiamo: ad aumentare non è stata né la ricchezza né l'occupazione, ma solo il lavoro nero (già, se accetti un impiego vero perdi il sussidio e allora tanto vale raddoppiare le entrate stando nell'ombra).

Ora Conte dice che così non si può andare avanti, che il meccanismo perverso va rivisto e limitato perché sta diventando un reddito di furbizia. Verrebbe da dire, a proposito di furbi: senti chi parla. Già, perché quella legge Conte la firmò con entusiasmo, nonostante la sua evidente fragilità, e non credo l'abbia fatto per convinzione, ma per semplice opportunismo. Era il prezzo che doveva pagare per restare premier, e non fu certo l'unico. Oggi, infatti, Conte disconosce platealmente pure la riforma delle pensioni (la famosa «Quota cento») e i decreti sicurezza. Insomma, per oltre un anno tanto durò il suo primo governo Conte non c'era, e se c'era o dormiva o non capiva.

Abbiamo un premier Penelope che, conteso dai Proci che aspirano al suo trono, tesse e disfa la stessa tela all'infinito per non arrivare mai a un dunque definitivo.

Così è sul Mes, così sarà sul Recovery fund: un giorno in un modo, il seguente in un altro e sempre nella speranza che alla fine il destino imbocchi la strada a lui favorevole.

Attenzione, però, Conte non è l'unico smemorato di questo quadro politico. Diciamo che c'è stata un'amnesia collettiva, per cui Di Maio dimentica di avere votato i decreti sicurezza, quota cento e di essere stato fortemente antieuropeista e anti Pd; Renzi ha abiurato al giuramento: «Mai con i Cinque Stelle» e Zingaretti ha rimosso il fatto che il Pd è andato al governo dopo avere perso le elezioni. Avere a che fare con la memoria è faticoso, a volte spiacevole.

La strada dell'oblio è invece tutta in discesa, ma non è detto conduca alla meta.

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