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Il premier snobba l'unità nazionale

Prima sorpresa. La sortita di David Sassoli è della serie "contrordine compagni"

Il premier snobba l'unità nazionale

Prima sorpresa. La sortita di David Sassoli è della serie «contrordine compagni»: dopo aver teorizzato l'esatto contrario per mesi, il presidente del Parlamento europeo, ha proposto di mandare in soffitta il Mes e teorizzato la cancellazione del debito contratto dagli Stati per il Covid. Se ciò fosse possibile, mesi di polemiche sarebbero state una perdita di tempo e uno non dovrebbe preoccuparsi più di tanto se il Recovery fund arrivasse solo nel 2022. Poi, però, qualcuno, ha cominciato a nutrire seri dubbi. «Non esiste ha spiegato uno sbalordito Piero Fassino , è un'uscita improvvida, specie ora che chiediamo soldi e i Paesi frugali ci guardano storto». La bocciatura del forzista Renato Brunetta, in tono accademico, è ancora più plateale. «È una delle più grandi cazzate dice della storia dell'umanità. Andrebbe in default per primo chi lo chiede, poi l'euro e, quindi, la Ue. Non per nulla fa felice Salvini. L'intento? Tagliare le gambe al dialogo tra la maggioranza e noi, che può svolgersi solo su basi serie». Congettura troppo sofisticata. L'obiettivo è terra terra: in un momento in cui i 5stelle sono una polveriera, togliere dal tavolo quel pomo della discordia che è il Mes e compattare la maggioranza giallorossa su una mezza menata. Poi c'è pure qualche grillino che lo ha scambiato per un corteggiamento di Sassoli per il Colle: da quelle parti può succedere di tutto.

Seconda sorpresa. C'è chi si domanda con quale faccia tosta Giuseppe Conte abbia potuto inserire nella legge di bilancio la creazione dell'Istituto italiano di cybersicurezza, nei fatti una nuova branca della nostra intelligence. Qualcuno addirittura azzarda che abbia in mente di affidarla a una vecchia volpe dei nostri servizi come Marco Mancini. A parte il nome, il progetto che per qualcuno potenzialmente potrebbe modificare gli equilibri di Potere del Paese, ha fatto insorgere il Copasir e tre quarti della maggioranza. «Una follia ha spiegato Marco Minniti a qualche compagno del Pd , messa così è una struttura che potrebbe andare per i cavoli suoi, che potrebbe mettere in piedi i rapporti che vuole pure con i privati...». «Quando Conte ci ha fatto recapitare la bozza del provvedimento racconta Elena Boschi gli abbiamo detto che non andava. Ma lui imperterrito ha insistito. Ora ha la bozza, ma non ha la maggioranza per approvarla. Fa parte della serie delle cose fatte a caso dal governo: avviene per le cose che si risolvono e non». Cose, sarebbe la chiosa, fatte a capocchia.

Terza sorpresa. Sul nome del nuovo commissario per la Sanità in Calabria siamo alle comiche: dopo le dimissioni di Cotticelli, l'ex-generale ignaro del piano anti-covid; del suo successore Zuccatelli, «seccato» per una performance in video contro le mascherine alla Groucho Marx; il ritiro dell'esperto di ospedali di guerra, Gino Strada, allergico alle responsabilità «in tandem»; anche il prescelto, il prof. Eugenio Gaudio, ha declinato la nomina per l'idiosincrasia della consorte per la sede di Catanzaro. Una pièce teatrale in piena pandemia: roba da non credere.

Ci sarebbe da aggiungere, per restare a ieri, pure l'ultima gaffe del commissario Arcuri sulle terapie intensive che ci sono, mentre i medici anestesisti dicono di «no». Ma fermiamoci qui: mentre impazza la pandemia, se si dovessero elencare le «sorprese» del Paese, pardon, del «governo delle meraviglie», non la finiremmo più. E non c'è un protagonista che faccia mancare il suo contributo. Da Alice-Conte, al Cappellaio Matto-Di Maio, al Gatto del Cheshire-Gualtieri, al Coniglio Bianco-Franceschini, e giù di lì. La verità è che c'è un macigno grosso come una casa sulla strada del rapporto tra maggioranza ed opposizione per fronteggiare insieme il Covid: gli uomini, la classe dirigente in cui devi riporre fiducia.

Ci sono stati governi di unità nazionale subito dopo la guerra: e lì la fiducia era assicurata dal fatto che tutti i partiti avevano una rappresentanza nell'esecutivo. Nel governo Monti, altro esempio di solidarietà, i «tecnici» che ne fecero parte furono scelti sentendo il parere di Bersani e di Berlusconi. Ma pure nei monocolori dc della solidarietà nazionale della fine degli anni '70, forse l'esempio più vicino alla situazione attuale, i ministri democristiani che ne fecero parte furono scelti con l'assenso di Enrico Berlinguer.

Oggi, invece, si chiede all'opposizione di avere fiducia, al buio, anche nei ministri che fino adesso hanno sbagliato. Operazione inedita, complicata se non addirittura impossibile. Anche perché non godono neppure della fiducia di tutta la maggioranza, visto che Goffredo Bettini, consigliere di Zingaretti, con l'ambizione di occuparsi di una «Cinecittà» rinnovata, implora di portare nel governo «le energie migliori e necessarie per competenza». E torna la litania del rimpasto di governo con dentro Zingaretti e Di Maio. «Non ora però con la situazione che c'è - avverte la Boschi , ma semmai a gennaio».

Per cui si parla di unità, ma nessuno ci crede. Anche perché certi processi, certe stagioni, camminano sulle gambe di uomini che almeno sulla carta dovrebbero essere capaci. «Ma di che parliamo! A 40 giorni dalla scadenza in cui deve essere approvata insorge Maurizio Lupi quel genio di Gualtieri non ci ha ancora dato la legge di Bilancio. Quelli pensano di accontentarci con un miliardo da dividere tra gli emendamenti in Parlamento e di andare avanti a forza di voti di fiducia. Se questa è l'intenzione, Berlusconi sarà riassorbito da Salvini e dalla Meloni. E Conte non farà nessun rimpasto per non fare saltare in aria i grillini». Un certo scetticismo regna anche alla corte del Cav. «Il presidente confida Sestino Giacomoni, uno dei suoi consiglieri vuole apparire come un Padre della Patria. E fa bene. Sarà il governo a non fare seguire alle parole i fatti. Visti i tempi approveranno la legge di bilancio a colpi di fiducia. E non faranno nessun rimpasto, perché dovrebbe riguardare innanzitutto Conte».

In sostanza, siamo solo al solito fiume di parole. «Certe cose riflette il piddino Matteo Orfini, nel cortile di Montecitorio si fanno e basta. Legandole all'enfasi del momento. Invece qui si parla e basta. E i partiti dimostrano di non avere il fisico per fare nessun tipo di unità nazionale. In più i 5stelle non la vogliono, come pure Conte. Il rischio è che il risultato sia una cagata. Eppoi che fa il Quirinale? Napolitano disse che c'era bisogno di un governo per le riforme e si fece. Mattarella...». Qui il discorso si ferma, perché il fido Fausto Raciti, lo blocca: «Mattarella non si tocca, siamo tutti corazzieri!». Già, quel Mattarella che pure ieri diceva: «Il virus tende a dividerci. Affrontiamo insieme questo nemico insidioso». Ancora parole..

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