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Il primo e ultimo tragico viaggio del Titanic

Il naufragio più famoso del mondo ha cambiato le regole della sicurezza navale sulla vita di mille e cinquecento anime: e pensare che una sola ora avrebbe cambiato le sorti di questo tragico evento

Il primo e ultimo tragico viaggio del Titanic

Su una delle punte estreme del ghiacciaio di Jakobshavn, in Groenlandia, scricchiolii, discreti e malaugurati, si lasciano udire puntuali, giorno dopo giorno, nel lungo e mite inverno artico del 1912. L’intensità del sole, con l’appropinquarsi della stagione calda, ne moltiplica la frequenza, che poi d’un tratto, così all’improvviso, muta, e colma il silenzio assoluto in uno stridere di crepe. Allora il tonfo, sordo e pieno nell’acqua gelata. Una montagna di neve ghiacciata, accumulatasi nei millenni, si è staccata dalla calotta, e dopo aver trovato il suo equilibrio nel mare, è diventata a tutti gli effetti un iceberg: “Gelidi mostri tanto belli da guardare, quanto pericolosi da toccare”, li definiva un capitano in servizio sulle prestigiose compagnia di navigazione britanniche che facevano sponda a sponda nel Nord Atlantico nell’epoca dorata dei transatlantici.

Quell’anno ce ne sarebbero stati più del solito, e si sarebbero spinti più a sud del solito, fino a lambire le rotte dei grandi bastimenti che collegavano il Vecchio e il Nuovo Mondo, l’Europa e l’America. Il risultato della presenza di quei mostri di ghiaccio, che svettano oltre la superficie dell’acqua solo di un ottavo del loro volume - mentre gli altri sette ottavi restano sommersi - era già evidente: le coste del Labrador e i grandi Banchi di Terranova erano disseminate di "pennoni, tavole di legno e barili e casse di carico" perdute da navi scomparse nel nulla, dopo essere entrate in collisione, probabilmente, con gli enormi blocchi di ghiaccio che avrebbero proseguito la loro rotta naturale, a una velocità di 25 miglia percorse ogni giorno, verso le rotte navali del Nord Atlantico.

Dall’altra parte dell’oceano, a Southampton, il 10 aprile 1912, dall’ormeggio numero 44 si stacca alle 12 in punto, l’Rms Titanic (il prefisso Rms stava per Royal Mail Ship, quando essa esercitava tale funzione). Un transatlantico di proprietà della White Star Line, lungo 269 metri con oltre 60mila tonnellate di dislocamento. È il bastimento più imponente e lussuoso che abbia mai solcato il mare. Dicono sia inaffondabile, e incomparabile per prestazioni e sfarzo anche alle sue due navi “gemelle”, l'Rms Olympic e Hmhs Britannic. La sua destinazione è New York. Arrivo previsto di lì a una settimana, la mattina del 17 aprile. A bordo sono già 892, tra membri dell’equipaggio agli ordini del capitano Edward Smith e personale addetto alle più disparate mansioni: cuochi, istruttori di palestra e squash, addirittura un tipografo che pubblica ogni giorno un “quotidiano” pensato appositamente per chi viaggia sul transatlantico. Si aggiungeranno nelle due tappe, una lungo la costa francese e un’altra, l’ultima su quella irlandese, 1.308 passeggeri, la cui maggioranza alloggerà negli alloggi di terza classe, quella cantata da De Gregori, dove "non si viaggia male".

Nulla è davvero “perfetto”

Tutto è trionfale, gli annunci, la stampa, le foto; tutto sembra essere stato pianificato per rasentare la perfezione, che appartiene solo a Dio. Gli arredamenti più ricercati, le pietanze servite, tra le più raffinate, e poi i passeggeri della prima classe, con i loro titoli e cognomi altisonanti, sempre inguainati nell’abito migliore. Si è verificato solo un piccolo incidente alla partenza, roba da poco. Ha causando un’ora di ritardo sulla tabella di marcia: la potenza delle enormi eliche, propulse dal vapore sprigionato da ventinove caldaie che possono garantire un velocità fino a 29 nodi (48 km/h), rischiava di risucchiare una nave di piccolo cabotaggio, chiamata, scherzo della sorte, New York, proprio come la meta dell’immenso Titanic. Nessun danno. Una dimenticanza poi, anch'essa da poco: non è stata imbarcata la scatola con i binocoli di bordo. Né vi sono razzi di segnalazione del colore adeguato a segnalare un’emergenza in mare: i razzi rossi. Ma a cosa servono i razzi d'emergenza su un bastimento inaffondabile?

La traversata procede come da programma. Il tempo è buono, le nuvole rade, il mare calmo. Forse anche troppo. Nessuno affacciandosi dai ponti arriverebbe mai a pensare di dover ricorrere alle poche scialuppe di salvataggio, solo 16 come il regolamento consentiva (più quattro lance "pieghevoli"), che a fare un rapido conto per capienza sarebbero state sufficienti a mettere in salvo solo 990 anime. Nessuno avrebbe creduto che allo scoccare della mezzanotte del quinto giorno di viaggio, quel potente bastimento di solido acciaio avrebbe incontrato nel bel mezzo dell'Atlantico la più spaventosa minaccia che poteva opporglisi: un poderoso iceberg abbandonato a se stesso, senza rotta e senza meta. Trascinato solo dalla corrente.

Il "rendez-vous" letale

Nonostante le numerose segnalazioni della presenza di iceberg, il Titanic procede spedito lungo al sua rotta nel buio della notte. La chiamano Outward Southern Track, ed è un “corridoio” seguito dai bastimenti proprio per evitare tratti di oceano che erano interessati dalla presenza di iceberg e fitti banchi di nebbia che li rendono impossibili da avvistare. L’oceano, manto maestoso e infinito colore del petrolio, è calmo. Il punto tracciato sulla rotta verso Terranova noto come “l’angolo", quello dove i piroscafi diretti a ovest erano soliti effettuare la loro virata, è stato oltrepassato. Appena un paio d’ore più tardi però, si ode distinto il suono della campana d’allarme, tre volte, poi in plancia gracchia il telefono. È la vedetta: “Iceberg dritto di prua”.

L’errore fatale

Il capitano Smith dorme. Al comando c’è l’ufficiale in seconda, l’esperto William Murdoch, che impartisce però ordini contrastanti, prima una virata a sinistra, con motori a tutta forza per evitare l’iceberg. Poi un ripensamento, e viene ordinata la virata a dritta, per salvare dall'urto la poppa. L’iceberg intanto si avvicina nell’oscurità. Viene impartito l’ultimo ordine per ridurre la forza dell’impatto che oramai appare inevitabile: “macchine indietro tutta”. Sarà errore fatale. È appena passata la mezzanotte del 15 aprile 1912, e il mastodontico blocco di ghiaccio si scontra sulla sotto la linea di galleggiamento dello scafo. Benché lo scafo del transatlantico sia suddiviso in 16 compartimenti stagni, ognuno dotato di speciali porte a ghigliottina, tali compartimenti “non attraversavano la completa altezza dello scafo, ma si fermavano al ponte E”, lasciando via libera all’acqua che si era fatta strada nel cuore della nave, entrando copiosa: 12 milioni di litri d’acqua l’ora, nonostante l’impiego delle pompe idrauliche. Il Titanic avrebbe potuto galleggiare con diverse combinazioni di compartimenti completamente allagati, è vero, ma non con 5 compartimenti di prua allagati. In plancia non c’è spazio per dubbi o speranze: la collisione è stata fatale, la nave affonderà nel nord dell’Atlantico dove l’acqua raggiunge a stento gli zero gradi centigradi di temperatura.

L’inabissamento

D'improvviso un fiotto di luce dal castello di prua e un razzo s'innalzò sibilando verso il cielo […]. Salì sempre più in alto, mentre un mare di volti lo seguiva con lo sguardo […]. E con un sospiro affannoso una parola sfuggì dalle labbra della folla: 'Razzi!'. Tutti sanno cosa significa un razzo in mare. […] È inutile negare l'intensità drammatica della scena; separatela da tutti i terribili eventi che seguirono e immaginatevi la calma della notte […]. Ognuno seppe senza il bisogno di parole che chiedevamo aiuto a chiunque fosse abbastanza vicino da vederci”, testimonierà il passeggero Lawrence Beesley. Poco dopo l’ordine di indossare i salvagenti che verranno distribuiti lungo i ponti e nelle sale interne, dove si affollano i passeggeri preoccupati ma non ancora terrorizzati.

Intanto nella sala telegrafo, i due operatori della Marconi Company, Phillips e Bride, lanciano messaggi di soccorso sperando che una nave in transito possa raggiungerli e soccorrerli in tempo. Phillips scherzando dirà al suo secondo: “Utilizza il nuovo segnale d’emergenza, Sos. Può darsi che non avrai altra possibilità di farlo”. Bride sopravvivrà, Phillips no. Morirà congelato nel tentativo di raggiugnere una scialuppa a nuoto.

L’orchestra scelta dal violinista Wallace Hartley, rimasta iscritta nella leggenda, suona il suo repertorio per quietare gli animi, fino all’ultimo. L’ultimo brano pare sia stato "Lettres de noblesse" o "Nearer, My God, to Thee" prima che la nave sprofondasse per la sua intera metà nell’acqua silenziosa e gelida e la pressione la spezzasse in due tronconi, portando nelle profondità abissali prima la prua e poi la poppa (come ben racconta il colossal di James Cameron). Le scialuppe, insufficienti nel numero e messe in mare con un carico di “donne e bambini” sotto capienza, lasceranno più della metà dell’equipaggio e dei passeggeri al loro tragico destino: la morte per annegamento e ipotermia, che sopraggiungerà in pochi minuti. Quando sono trascorse da poco le 2 del mattino. La nave più vicina alle coordinate rilanciate dal Titanic che ha risposto all’Sos è la Rms Carpathia, è distante 58 miglia nautiche. Ci vorranno ore. Dal Californian invece, avvistato sulla sua rotta a sole 17 miglia nautiche di distanza, nessuna risposta. Alle prime luci dell'alba verranno tratti in salvo solo 706 superstiti. L'eco di quella tragedia, forse tra le più note della storia, si propagherà in tutto il mondo, portando rilevanti modifiche nei regolamenti riguardanti la sicurezza navale: dal numero regolamentare di scialuppe all'adesione del nuovo segnale universale di richiesta di soccorso, l'ormai noto l'Sos.

Il relitto del Titanic, sulla cui vicenda aleggeranno per oltre un secolo le più disparate leggende e teorie del complotto - dall'incendio nascosto avvenuto a bordo prima della partenza, al libro profetico scritto nel 1898 dal titolo "Il naufragio del Titan", alla teoria della truffa assicurativa ideata dai proprietari della White Star Line (acquisita negli anni '30 dalla rivale e ancora attiva Cunard Line) - sarà individuato nel 1985 dal ricercatore Robert Ballard con i fondi del governo e della Cia, che lo aveva incaricato di trovare due sottomarini nucleari scomparsi nel bel mezzo della Guerra fredda, l'Uss Scorpion e l'Uss Thresher. Ma questa è un'altra storia.

Se solo quel gigante di ghiaccio si fosse staccato un'ora prima, o il gigante d'acciaio si fosse staccato dalla banchina un’ora dopo, se soltanto una virata diversa forse stata ordinata una manciata di manciata si secondo prima, oppure dopo, se una qualsiasi fatalità differente - come l’incidente nel porto con la piccola New York - non avesse portato sulla stessa rotta l'iceberg, che vagabonderà negli oceani fino ai nostri giorni, e il più grande e raffinato bastimento che avesse mai solcato il

mare, questa tragedia non si sarebbe mai consumata. Invece la tragica fatalità, lo scherzo del destino, volle portare sul fondo dell’oceano mille e cinquecento anime e una nave che tutti credevano veramente inaffondabile.

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