Politica

Il primo passo sulla lunga via della pace dopo le foibe

Le polemiche sulla foiba di Basovizza, dove oggi il presidente sloveno Borut Pahor omaggerà con il capo dello Stato italiano Sergio Mattarella il luogo simbolo delle vittime italiane di Tito, non dovrebbero stupire

Il primo passo sulla lunga via della pace dopo le foibe

Le polemiche sulla foiba di Basovizza, dove oggi il presidente sloveno Borut Pahor omaggerà con il capo dello Stato italiano Sergio Mattarella il luogo simbolo delle vittime italiane di Tito, non dovrebbero stupire. Proprio nei tempi in cui per ignoranza si abbattono le statue di Cristoforo Colombo e di altri personaggi non insignificanti nella storia dei Sapiens. Dico «ignoranza», non «ignoranza storica», perché dovrebbe essere elementare capire - per chi abbia finito almeno le scuole medie - che non si possono giudicare le vicende e gli uomini del passato con la sensibilità di oggi. Nel Cinquecento lo schiavismo era considerato un'attività perfettamente lecita, addirittura giusta. Dobbiamo dunque condannare lo schiavismo, perché siamo arrivati a un migliore sentire di cosa è giusto e di cosa è sbagliato, ma non possiamo condannare con un giudizio etico gli uomini che lo praticavano. Sarebbe come disapprovare i medici dell'Ottocento perché operavano senza anestesia, poveretti, quando l'anestesia non esisteva ancora. Certo, dagli uomini politici, ieri come oggi, è lecito aspettarsi di più. Porto l'esempio di un episodio recente che ho vissuto in prima persona e legato proprio alle vicende dei territori ex jugoslavi. Avvicinandosi il centenario dell'impresa dannunziana di Fiume, tentai di riallacciare i rapporti con la città che oggi si chiama Rijeka. Nel 2018 dunque andai più volte in quella bella città, incontrai molte autorità, anche l'assessore alla cultura, che ricambiò la visita e partecipò a una cerimonia al Vittoriale degli Italiani. Anche il sindaco sembrava era ben disposto. Poi, d'improvviso, il 12 settembre 2019, la tempesta. Con il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza inaugurammo in piazza della Borsa una statua dedicata a d'Annunzio e le autorità croate aprirono le cateratte dell'ira: dichiarazioni di fuoco del sindaco di Rijeka e addirittura della presidente croata contro il fascista (affermazione falsa) che aveva oppresso e tormentato (falso) gli slavi di Fiume. A parte che ogni Stato dovrebbe avere il diritto di erigere le statue che vuole, specialmente a un poeta, in sedici mesi di occupazione di Fiume non ci fu un solo morto slavo. Poi morirono soltanto italiani, in uno scontro da guerra civile, quando l'esercito italiano attaccò i legionari.

Non fu difficile trovare la spiegazione in motivi di politica interna; in Croazia ci si preparava alle elezioni, e il sindaco di Rijeka era candidato per la prima volta al parlamento nazionale. Ma il sindaco non è stato eletto in parlamento, e quello di Trieste giorni fa si è preso la soddisfazione di registrare dietro la statua delle polemiche un filmato per dire che certe azioni non pagano: lo trovate su Facebook. Se si dibatte ancora, e in quel modo, su questioni simili, è facile capire che fatti di sangue, di guerra, di lunghe oppressioni la storia ne è costellata sono molto difficili da metabolizzare. E che per farlo c'è un unico modo: studiare, conoscere, capire. E non mischiare la politica con la storia. Quanto alla politica, come dicevamo anche all'inizio del pezzo, fa bene quando guarda avanti e cerca quella pacificazione che rende più semplice il lavoro degli storici. In questo caso, con i suoi tempi e le sue diplomazie, lo sta facendo. La presenza di entrambi i presidenti non è il segno che si scorda il passato, ma che si sta imparando, faticosamente, a non strumentalizzarlo. Questo processo di normalizzazione non piacerà a tutti, i vecchi rancori sono difficili da cancellare, anche semplicemente da sopire.

Ma solo quando saranno eliminati sarà più facile raccontare le storie dolorose della cacciata degli italiani di Istria e Dalmazia.

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