Quelle ombre sulla procura dopo la morte di David Rossi

Lo strano caso dell'indagine sul giornalista che trovò le mail in cui Rossi annunciava di voler raccontare la verità su Mps

Quelle ombre sulla procura dopo la morte di David Rossi

È l’estate del 2013 quando la procura di Siena archivia il primo fascicolo sulla morte di David Rossi. Dal punto di vista giudiziario la vicenda del decesso dell’ex manager del Monte dei Paschi di Siena era stata scritta: suicidio. Poi il paradosso. La fine giudiziaria sarà l’inizio delle indagini che metteranno in dubbio proprio la dolorosa conclusione a cui erano giunti i pm.

In quello stesso periodo Davide Vecchi, allora giornalista de Il Fatto Quotidiano e attuale direttore gruppo Corriere (Umbria, Arezzo, Siena, Viterbo e Rieti) si trovava a Siena. Stava seguendo la questione intricata degli scandali di Mps sulla compravendita di banca Antonveneta. “Iniziai a lavorare anche sulla morte del Rossi. Le vicende di Mps erano quasi giunte a termine. Avevano già fatto i maxi sequestri e noi stavamo 'levando le tende'. I fatti di quella sera furono una sorpresa", racconta Vecchi. Quando, a luglio, la procura iniziò a procedere veloce verso l’archiviazione del fascicolo gli atti d’indagine erano prossimi a diventare pubblici. “Tra il materiale sequestrato per le indagini saltarono fuori alcune mail - spiega Vecchi - Mail che David aveva mandato due giorni prima di morire all’allora amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola". Mail nelle quali David anticipava la volontà di togliersi la vita e, anche e sopratutto, la volontà di andare a parlare con i magistrati. Nei messaggi, il manager senese diceva di aver lavorato con tutti, che avrebbe voluto parlare con i pm perché sapeva tutto di Mussari (ex presidente di Mps), della banca, della fondazione e del comune. “Quando trovai quello scambio di mail era il 4 luglio del 2013. Riportai tutto in un articolo e il giorno dopo venne pubblicato su Il Fatto Quotidiano”. Dopo la pubblicazione di quelle mail i pm indagarono Davide Vecchi e la vedova di David, Antonella Tognazzi.

Il capo d’imputazione era “violazione della privacy”. Aver reso pubbliche quelle prove avrebbe violato la privacy di Viola. La cosa assurda è che “noi lo abbiamo saputo due anni dopo che c’erano delle indagini su di noi. Questo è indicativo per capire come agiva la procura…”. Dopo sei mesi, al massimo un anno, dall’inizio delle indagini a proprio carico, l’imputato dovrebbe essere avvisato e invece qualcuno stava indagando su di loro. A loro completa insaputa. “In quel periodo - racconta Vecchi - io venni anche convocato per un interrogatorio. Ed ero indagato”. Ancor peggio fu per la moglie di Rossi. Antonella andava a rivolgersi al pm, Aldo Natalini, titolare in quel momento del fascicolo sulla morte di Rossi e che quindi avrebbe dovuto occuparsi delle indagini sulla morte di David. Più volte aveva parlato con lui per capire come stavano procedendo e se ci fossero novità in proposito, per poi scoprire in realtà che Natalini non stava indagando sulla morte del marito, ma contro di lei. Secondo la procura, infatti, sarebbe stata proprio lei a fornire le mail al giornalista e tutto, a dire dell’accusa, per pubblicarle sul giornale in modo da ricattare la banca. Uno strano stratagemma per ricattare qualcuno...

Ancora una volta la supposizione non sta in piedi. Ma questa presa di posizione sposterà i pm dalle indagini su David a quelle sul nuovo caso: la pubblicazione della mail tra il capo della comunicazione del Monte dei Paschi e l’amministratore delegato Fabrizio Viola. “Fu assurdo. Io neanche la conoscevo Antonella prima di finire insieme a lei in un aula di tribunale". Il processo è andato avanti per tre lunghi anni. L’accusa avrebbe voluto nove mesi di reclusione per Vecchi e sei per la Tognazzi. Un altro doloroso capitolo dell’assurda vicenda che si è poi chiuso con una sentenza di assoluzione piena nei confronti dei due indagati. Rivelandosi l’ennesimo scivolone della procura. Un errore che ha lacerato l’anima di una donna che si è vista accusata in un aula di tribunale a pochi mesi dalla scomparsa di suo marito. Un’ingiustizia che le è costata tre anni di processi e giustificazioni ad accuse infondate. Tre anni nei quali lei, ha continuato a lottare per qualcosa di ancora più grande e doloso. La verità sulla morte di David.

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Eppure, sebbene le ricerche su di lei partirono subito dopo la pubblicazione degli articoli di Vecchi, nello stesso momento le indagini su Rossi non solo vennero accantonate, ma si lavorò per far sparire alcune tra le altre prove in possesso degli investigatori. “Lo stesso Natalini aveva distrutto dei reperti fondamentali. Come i fazzoletti sporchi di sange trovati nel cestino dello studio di David. Li aveva distrutti senza analizzarli e prima ancora che il gip avesse disposto la prima archiviazione", spiega ancora Davide Vecchi.

In quel periodo infatti il gip aveva ricevuto la richiesta di archiviazione. Ma, dopo la pubblicazione delle mail, che erano state, di fatto, un campanello d’allarme per provare a riprendere in mano le prove che non erano state prese in considerazione fino a quel momento, avrebbe potuto procedere con una proroga che permettesse di fare ulteriori indagini in un momento in cui ancora era possibile tirare fuori qualsiasi cosa dagli elementi acquisiti e in cui, per giunta, gli investigatori sarebbero stati ancora in tempo di richiederne altri. “Il pm dispone la distruzione di quelle prove ad agosto. In pieno agosto. Due giorni prima di ferragosto.

Quando a Siena non è solo il giorno di ferragosto ma c’è il palio. Lì, lo sappiamo, per l’evento si ferma tutto. E loro invece si sono presi la briga di andare a distruggere dei reperti. Questa, per me, rimane una delle cose più inspiegabili".

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