Cronache

Quando la Tunisia avvisava l'Italia: "Jihadisti dalle nostre coste"

Nell'ottobre 2017 Tunisi liberò con l'indulto 1600 detenuti. E avvisò l'Italia: "Rischio jihadisti infiltrati tra i profughi che sbarcano in Sicilia"

Quando la Tunisia avvisava l'Italia: "Jihadisti dalle nostre coste"

Il Ministero degli Esteri tunisino si è detto stupito delle dichiarazioni fatte dal nuovo Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per quanto riguarda il dossier immigrazione.

Le autorità tunisine hanno sottolineato che quanto espresso da Matteo Salvini “non riflette la cooperazione tra i due paesi nel campo della gestione dell'immigrazione e indica una conoscenza incompleta dei vari meccanismi di coordinamento esistenti tra i servizi tunisini e italiani per affrontare questo fenomeno".

Salvini, durante la sua visita in Sicilia, aveva evidenziato che “la Tunisia, paese libero e democratico, non manda in Italia gentiluomini, ma spesso e volentieri galeotti”.

Nell'incontro con l'ambasciatore italiano a Tunisi, "il nostro Paese ha ribadito la sua volontà di continuare con il nuovo governo italiano sulla via del consolidamento dei rapporti di fraternità e di collaborazione strategica in vigore tra i due paesi", prosegue la nota del ministero tunisino, postata su Facebook.

Il Ministro degli Interni italiano dal canto suo ha incaricato l'ambasciatore di comunicare alle autorità tunisine che le sue dichiarazioni sono state riportate fuori dal contesto e che è pronto a sostenere la cooperazione" con Tunisi.

Insomma, il governo tunisino si sarebbe offeso per le dichiarazioni del Ministro degli Interni, Matteo Salvini, eppure lo scorso ottobre le autorità di Tunisi non solo diedero l’indulto a 1600 detenuti, alcuni dei quali radicalizzati, ma lanciarono anche l’allarme “terrorismo” affermando che erano stati fermati circa 5mila immigrati pronti a partire per le coste italiane. Tra questi potevano infatti nascondersi potenziali jihadisti.

C’è poi il problema dei cosiddetti “sbarchi fantasma”, ovvero piccole imbarcazioni veloci che trasportano dai 10 ai 100 immigrati sbarcando di notte, difficili da intercettare. Come riportava il Corriere della Sera, coloro che arrivano dalla rotta Tunisia-Sicilia non hanno diritto a chiedere la protezione internazionale e sono dunque destinati all’espulsione, ma sanno di avere buone possibilità di non essere rimpatriati se non vengono identificati subito; una volta sbarcati fanno perdere le proprie tracce e non si sa dove vanno a finire.

Insomma, le autorità tunisine hanno poco da offendersi considerate le dinamiche migratorie, l’indulto di ottobre 2017 e l’allarme lanciato da loro stesse.

Il problema di Tunisi sembra invece essere un altro, ben più serio e cioè la difficoltà nel reinserire nel proprio contesto sociale tutti gli immigrati illegali tunisini in caso di un rimpatrio massiccio messo in atto dal nuovo esecutivo italiano.

Secondo una fonte anonima del Ministero degli Affari Sociali tunisino che aveva rilasciato una dichiarazione al giornale “Le Quotidien”, Tunisi in concreto non ha un piano specifico o uno strumento concreto a parte il progetto pilota di reinserimento economico e sociale per i migranti di ritorno, progetto partito il 1° di luglio del 2017 e con scadenza a fine febbraio 2019 che punta a migliorare le condizioni per i rientri volontari degli emigrati tunisini in coordinamento con le autorità competenti e la società civile.

In poche parole, la Tunisia non avrebbe piacere di riprendersi tutti gli illegali che sono partiti dalle proprie coste con destinazione Italia perché non sarebbero in grado di reinserirli nel proprio contesto socio-economico, magari con il rischio che si verifichi un incremento del tasso di delinquenza.

Questo però è un problema che riguarda le autorità di Tunisi, perché gli irregolari vanno rimpatriati.

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