Quei finti kamikaze delle urne anticipate

Immaginatevi Giuseppe Conte alla guida di una squadriglia di kamikaze, con tanto di bandiera del sol levante, pardon giallorossa, sulla fronte

Quei finti kamikaze delle urne anticipate

Immaginatevi Giuseppe Conte alla guida di una squadriglia di kamikaze, con tanto di bandiera del sol levante, pardon giallorossa, sulla fronte. Sul caccia «zero» alla sua destra vola Dario Franceschini, su quello a sinistra Goffredo Bettini, dietro, perché non ha il temperamento del frontman, Nicola Zingaretti. Dal ponte di comando della portaerei l'ammiraglio in capo Sergio Mattarella ordina di colpire e affondare la legislatura e loro che si gettano in picchiata gridando «banzai!», ma - maledetta sfiga - mancano il bersaglio. La stessa sfiga che aveva perseguitato un anno prima un altro kamikaze, Matteo Salvini. Di lui si disse che fu tutta colpa dei mojito del Papeete, per la bravata dei suoi emuli, sempre che abbiano voglia di cimentarsi nella stessa impresa, si darà la responsabilità a un'overdose di psicofarmaci. Magari di ansiolitici per calmare le paure del Leone fifone della politica italiana, il Zinga. Sarebbe la fiera del paradosso: perché le due storie, quella del Capitano leghista e quella dei kamikaze giallorossi, da qualunque parti le prendi, si dimostrerebbero speculari. E, colmo dei colmi, Salvini potrebbe rivalersi verso Conte e soci di tutte le ironie di cui è stato bersaglio in quella per lui maledetta estate di due anni fa. Ma proprio perché l'epilogo sarebbe scontato, è difficile che personaggi che hanno una certa esperienza politica ai piddini certo non manca la scuola di partito, sia che abbiano militato nel Pci o nella Dc - si buttino anima e corpo in un'avventura talmente sprovveduta. Ecco perché alla fine quell'arma che viene agitata quotidianamente, per richiamare Matteo Renzi all'ordine o i grillini a più miti consigli, somiglia tanto per citare Mao Tse-tung al ruggito di una tigre di carta.

Un ruggito che riempie le pagine dei giornali o i notiziari tv, ma a cui non crede nessuno. Basta parlare con i destinatari delle minacce per averne la prova. Se poni la questione ad una trafelata Laura Castelli, vice-ministro dell'economia grillino, mentre attraversa di corsa il cortile di Montecitorio per partecipare alla riunione sulla legge di bilancio in aula, ti senti rispondere con l'aria di chi la sa lunga: «Quando parlano troppo di elezioni significa che non si fanno». Mentre Luca Carabetta, un 5stelle con la testa sulle spalle, con il tono del profeta commenta: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che ci siano le elezioni anticipate... Tant'è che qui dentro non si spaventa nessuno».

Non ci crede nessuno, è vero, ma ne parlano. Da Mattarella per via subliminale a Conte in una velina sui giornali. All'intero vertice del Pd: Bettini, Andrea Orlando, Franceschini e l'immancabile Zinga. Addirittura sul Colle i consiglieri più devoti si addentrano in congetture costituzionali e in riferimenti storici. Dicono: c'è il problema che questo Parlamento, dopo il referendum che ha abbassato il numero dei parlamentari, potrebbe anche essere considerato per alcuni aspetti delegittimato. Ed ancora l'interrogativo: può un Parlamento in queste condizioni eleggere un Presidente della Repubblica che avrà un mandato di sette anni? Magari è anche vero, solo che non si capisce perché il Capo dello Stato non l'abbia detto subito. Anche perché sarebbe perlomeno singolare constatare che se c'è Conte a Palazzo Chigi questi rilievi costituzionali si dileguano; se non c'è lui, invece, si materializzano. Eppoi c'è il solito precedente citato all'uopo: ricordano che Oscar Luigi Scalfaro, quando fu cambiata la legge elettorale e si passò dal proporzionale al maggioritario nel 1993, chiese a Ciampi di dimettersi da Premier, con il povero Carlo Azeglio, a sentire i racconti di Antonio Patuelli, oggi presidente dell'Abi, che era con lui in treno, che non ci pensava affatto. Solo che Scalfaro tentò quell'operazione perché confidava nella «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto contro il Cav (e tutti sanno com'è finita), mentre oggi non c'è sondaggio che in caso di elezioni non assegni la vittoria al centro-destra. Per cui Zinga e compagni oltre ad essere sprovveduti, in questo caso sarebbero pure masochisti: perderebbero in un sol colpo la gestione dei soldi del Recovery fund e la possibilità di avere un nuovo Capo dello Stato amico loro. Difficile crederlo. Tant'è che l'esponente più sgamato nell'inner circle del Presidente, sulla questione taglia corto: «Elezioni anticipate?...Ma de che!».

Appunto, «ma de che!». Anzi, agitare il drappo rosso delle urne di fronte ai tori grillini potrebbe rivelarsi pericoloso. Ne sa qualcosa Salvini. Anche perché, magari Zingaretti e i suoi se ne sono dimenticati, il primo punto programmatico su cui è stata stipulata l'alleanza giallorossa è proprio il «no» alle elezioni anticipate. E se ieri lo stato maggiore del Pd, pervaso da una nuova voglia di appeasement verso Conte, se ne è dimenticato, l'altro ribelle che dovrebbe essere piegato con la minaccia delle urne, cioè Matteo Renzi, no. «La verifica ha confidato non si chiude domani (oggi, ndr), ma andrà avanti durante l'esame della legge di bilancio. Ci sono questioni di metodo e di merito. Non basta ritirare la task force sul Recovery fund o l'emendamento sulla Fondazione della cyber-intelligence, cosa che mi hanno già dato, ma bisogna domandarsi se si può governare un Paese così? Io non credo. Se al Pd va bene, si accomodi. A me no: se si chiudesse domani la verifica con Conte si ratificherebbe solo la rottura. La minaccia delle elezioni? Ma questi vogliono ripetere la genialata di Salvini del Papeete. Il Papeete della sinistra. E ovvio che un pezzo dei cinquestelle sarebbe pronto a riallearsi con Salvini per evitare le elezioni. Io non ci starò, ma quelli sicuramente sì».

In questo quadro, con le parole di Renzi in mente, i ragionamenti di Salvini su un altro governo prima delle elezioni, con dentro il centrodestra e un pezzo di ex-grillini, non sono più tanto campati in aria, non sono solo boutade. Anzi. La conferma viene dalle congetture di un grillino avvertito come Carabetta. «Gli ex-grillini confida sarebbero sicuramente pronti a fare qualsiasi altro governo per evitare le urne. Anche di nuovo con Salvini. E non sono pochi. Quasi una cinquantina. Ma anche una parte di noi non tollera la minaccia delle elezioni. Possiamo trovare un'intesa su tutto, anche sul rimpasto, ma non si può toccare quel tasto.

Per evitare una prospettiva del genere un pezzo di noi potrebbe anche guardare verso il centro-destra. Salvini lo ha capito e ha cominciato a teorizzarlo». Ergo: elezioni anticipate? Per non essere catapultati all'improvviso in un film horror, Conte e Zingaretti farebbero bene a «non aprire quella porta».

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