Cronache

Quell'istinto (tutto italiano) alla figuraccia

Sappiamo tutti che il mondo del calcio italiano è solito allietarci con le sue figuracce, ma ogni tanto il Paese Italia meriterebbe di evitarsele

Quell'istinto (tutto italiano) alla figuraccia

Sappiamo tutti che il mondo del calcio italiano è solito allietarci con le sue figuracce, ma ogni tanto il Paese Italia meriterebbe di evitarsele. Stavolta siamo andati in mondovisione, 180 Paesi collegati per vedere la partita fantasma tra Juventus e Napoli. Il commento più benevolo sarà stato: la solita Italia. Meglio aggiungere: del pallone. Il virtuosismo della figuraccia è classico di dirigenti che non riescono a mettersi d'accordo nemmeno su chi debba offrire un caffè. Calciatori e compagnia associata non si negano mai all'estroso inquinamento di ogni situazione di gioco, alle peggiori referenze via social, allo sfacciato sbocconcellare nell'arte del magnamagna. Nel giro di un mese l'hit parade delle nefande vicende calcistiche ci ha mandato al primo posto del podio: prima raccontiamo che Suarez è uno studente modello della lingua di Dante. Poi dispensiamo al mondo la nostra sopraffina capacità dell'ingannevole trovata. Così Suarez è rimasto in Spagna e l'università di Perugia e la Juve non ne sono usciti proprio bene. Nemmeno il tempo di fare dimenticare ed ecco che l'Europa scopre che in Italia le Asl contano più dei regolamenti governativi e il calcio non ha più arbitri, ma è solo servitore di ogni padrone: che si tratti di medici di base, di ministri e ministeri sbadati o di miliardari a caccia di stravaganti soluzioni a vincere. Dunque tutta Europa ha dovuto fare i conti con il terribile virus, ma Francia, Germania, Spagna, Inghilterra e le altre, fino a pochi giorni fa anche l'Italia, hanno trovato una soluzione di compromesso: l'unica per permettere al pallone di andare ancora in campo. Intendiamoci, non è indispensabile che il calcio continui a divertirci. Anzi, ultimamente, sta diventando una noia, viste le meravigliose porcherie che ci propina, però è chiaro che quella del pallone è una industria importante del Paese, si dice la quarta con tutto quanto comporta e porta dietro di sé. Vale anche per altre nazioni. Ma l'istinto nazionale alla figuraccia supera tutto: abbiamo dato spettacolo, per decenni, con rituali cadute e ricadute nel calcio delle scommesse o comunque degli imbrogli. Abbiamo scialacquato quando si è trattato di dimostrare l'esser maestri nell'infilarci in qualunque sorta di sentiero spinoso. Ora, con il virus fra i piedi, serviva il colpo d'autore, e bisogna dire che Napoli, l'Asl e il Napoli con ADL in testa, non sono venuti meno alla fama. Il Paese Italia si è ancora giocato la faccia e nessuno (Governo, autorità calcistiche, ministri dello sport e della salute) ha alzato un dito per risolvere in tempo utile un caso, vero o creato ad arte questo ancora non è dato sapere, per non mandare in onda quella penosa vista dallo stadio torinese. Gli altri sanno che bisogna giocare con il virus appollaiato sulla schiena, altrimenti si chiuderà a tempo indefinito. Loro, come noi, si basano su protocolli non perfetti, ma cercano la migliore soluzione possibile. Invece l'Italia gioca sempre a ruba mazzetto. Diceva Confucio: «Studia il passato per prevedere il futuro».

Dovevamo aspettarcelo, eppure Confucio non era italiano.

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