La Francia ha votato, la democrazia si è espressa. Il giorno dopo, però, sappiamo solo per certo che, quando la procedura elettorale sarà completata, Gabriel Attal, giovane Primo Ministro voluto dal Presidente Macron, perderà la sua poltrona. L'egemonia macroniana tramonta, segnando un tornante profondo nella storia della V Repubblica. Da quando la durata del mandato presidenziale coincide con quella della legislatura, non abbiamo mai visto al vertice delle istituzioni francesi una coppia con addosso magliette di squadre differenti. Questo ora dovrà per forza accadere e tutti dovranno fare i conti con un nuovo tipo di coabitazione.
Il resto è in divenire. Certo: sappiamo che la percentuale dei votanti è stata alta, molto più delle previsioni. Sappiamo anche che la formazione di Marine Le Pen ha superato brillantemente questa prova da sforzo, confermandosi primo partito. Sappiamo, infine, che è nato un nuovo bipolarismo molto più polarizzato di quello che la storia della V Repubblica ci ha fin qui proposto. Oltre queste certezze, però, non è dato avventurarsi. Il sistema elettorale francese, uninominale a doppio turno, non lo consente. Per questo, gli esponenti del partito vincitore a iniziare dal candidato premier Jordan Bardella , sono rimasti estremamente prudenti: come quei pugili che adottano la «guardia stretta alla francese».
Qualcosa in più sapremo stasera alle sei. È il termine temporale entro il quale i candidati passati al secondo turno, se vogliono, possono ritirarsi. In Francia la chiamano «desistenza». Questa volta il passaggio è davvero cruciale. Basta un dato per chiarire il concetto: nelle ultime elezioni legislative, al secondo turno, le competizioni «triangolari» sono state meno di 10; in questo caso 297. Per tentare di negare al Rassemblement di raggiungere la maggioranza assoluta, sia Macron che Mélenchon hanno chiesto ai candidati dei rispettivi schieramenti giunti terzi di desistere, in modo da concentrare i voti. Saranno disposti tutti i candidati in corsa a seguire «il consiglio dei capi»? Le incognite non si limitano a questo punto di domanda. Perché i seguaci del Presidente e quelli di France Insoumise (il partito di Mélanchon) si detestano cordialmente. Chi di loro andrà a votare per uno che, fino a ieri, considerava un fiero avversario? E quanti, invece, pur di non farlo, preferiranno disertare le urne? Un politologo francese, Alain Lançelot, ha sostenuto che in Francia le elezioni sono spesso decise da chi si rifiuta di votare, penalizzando così il proprio schieramento. Quanto sta accadendo conferma la sua teoria. Infine, un'altra incognita: cosa farà ciò che resta dei gollisti, che un po' di voti li hanno comunque raccolti? È per loro difficile votare gli eredi di Jean Marie Le Pen; ancor di più, però, appoggiare un candidato di estrema sinistra. Insomma, il tentativo di Macron di chiamare a raccolta tutti contro il pericolo della destra, com'era facile pronosticare, sta incontrando diversi ostacoli: non c'è più la «disciplina repubblicana» di una volta, Signora mia! Oggi è a scartamento ridotto e a geometria variabile.
Solo domenica sapremo come andrà a finire. I sondaggi, certo, non mancheranno. Ci diranno meno del solito. Molti elettori decideranno all'ultimo momento, in base alle sensazioni di questa settimana cruciale. Se la Le Pen dovesse raggiungere la maggioranza assoluta, avremo una coabitazione inedita. In caso contrario, la partita per il governo diverrà molto più imprevedibile. E, se la maggioranza assoluta fosse solo sfiorata, potrebbe persino profilarsi un'alleanza tra la destra e i gollisti.
Questi ultimi non conquisteranno molti seggi, ma potrebbero rivelarsi decisivi. In ogni caso, la V Repubblica così come l'abbiamo fin qui conosciuta può considerarsi sotterrata. Quella che sta arrivando sarà tutta da scoprire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.