Riad, inglese rischia la vita per una bottiglia di vino

È un ex dirigente d'azienda, condannato al carcere e a 350 frustate I figli scrivono a Cameron. Ma Londra ha troppi interessi commerciali

Il re è nudo. Ma non si tratta soltanto di re Salman, il sovrano dell'Arabia saudita co-protagonista di questa storia. Da ieri il governo di Londra è nudo di fronte all'incredibile vicenda di ordinaria applicazione della sharia - la legge coranica - da parte del regime di Riad, stavolta ai danni di un cittadino inglese. I familiari di Karl Andree, dirigente britannico nel settore petrolifero, oggi pensionato di 74 anni, si sono rivolti al primo ministro David Cameron chiedendo che intervenga per salvare il proprio padre da una condanna a 350 frustate inflittagli da un giudice saudita. La colpa dell'uomo, che ha trascorso 25 anni a lavorare nel più inflessibile regime arabo, è di essere stato sorpreso con alcune bottiglie di vino fatto in casa e conservato nella sua automobile. Per applicazione della legge islamica basata sul Corano e adottata dal Paese nel 1992, Andree è finito in carcere lo scorso agosto e ha già scontato oltre un anno di prigione sulla base del divieto di fabbricazione, consumo, vendita e importazione di alcool e di tutti i suoi derivati. Su di lui pesa anche la condanna a 350 frustate ed è per questo che i tre figli, in un accorato appello al premier Cameron, si sono mobilitati chiedendo un intervento immediato. «Nostro padre ha 74 anni, ha avuto per tre volte il cancro e sua moglie sta morendo (di Alzheimer, ndr ) in una casa del Regno Unito. Ora ha bisogno di cure mediche per il suo tumore e per l'asma e noi siamo convinti che 350 frustate lo uccideranno. Imploriamo David Cameron di intervenire personalmente e aiutarci a riportare a casa nostro padre».

Il timore che Andree possa morire sotto l'orrore delle frustate è serio ed è lo stesso che da oltre tre anni fa perdere il sonno a Hensaf Haidar, moglie di Raif Badawi, il giovane blogger saudita che per avere espresso le sue idee a favore della libertà di espressione è stato condannato al carcere e a mille frustate, 50 delle quali gli sono già state inflitte di fronte a un pubblico delirante al grido di Allah-hu Akbar , «Dio è grande». In queste ore anche Ali Mohammed Al Nimri, giovane di ventuno anni, che ne aveva 17 al momento del suo arresto, rischia la decapitazione e la crocifissione per essere sceso in piazza a protestare durante la Primavera araba repressa con inflessibile ferocia dal regime di Riad.

Il premier inglese, tramite il suo portavoce, ha fatto sapere di aver sollevato la questione «diverse volte» di fronte alle autorità saudite e dopo lo sconcerto sollevato ieri dalle dichiarazioni dei familiari di Andree al Sun ha promesso che scriverà al governo di Riad. Ma il rischio che la richiesta di clemenza finisca in un cassetto è alto e riapre la questione dell'ipocrisia di Londra - e di gran parte dei governi occidentali - di fronte alla spietata monarchia saudita.

Il regime di Riad ha messo a morte oltre 2200 persone tra il 1985 e il 2005, ha portato a termine almeno 130 esecuzioni da gennaio ad agosto di quest'anno (dati di Amnesty Italia), spesso sulla base di processi sommari senza l'assistenza di un legale, e impone alle donne di vivere sotto la tutela giuridica di un parente maschio. Eppure le cancellerie occidentali, che promettono lotta dura contro l'Isis, stentano ad alzare la voce contro le continue violazioni dei diritti umani in Arabia saudita. La ragione? Il regime di Riad è il primo acquirente di armi al mondo e il primo estrattore ed esportatore di petrolio. L'anno scorso è stato il primo partner commerciale del Regno Unito nel settore degli armamenti, con un business da oltre 5 miliardi di euro (secondo «Campaign Against Arms Trade»), grazie al quale guida la coalizione che combatte in Yemen per il controllo del Paese.

Ed ecco perché Londra non solo alza timidamente la voce con Riad ma conclude con il regime addirittura intese sottobanco alle Nazioni Unite. Il governo ha annunciato che stralcerà un accordo da 8 milioni di euro con il ministero della Giustizia saudita per la consulenza sul suo sistema carcerario. Ma poche settimane fa Wikileaks ha svelato il contenuto di un'intesa segreta, datata gennaio e febbraio 2013, per uno scambio di reciproci favori: in cambio dell'appoggio dell'Arabia saudita, Londra si è impegnata a sostenere la candidatura di un diplomatico del regime nel comitato Onu incaricato di scegliere gli «esperti» che dovranno monitorare la violazione dei diritti umani nel mondo. La missione è stata compiuta senza intoppi e sia Londra che Riad siedono ora nell'organismo composto da 47 membri.

Messo spalle al muro sull'argomento dal giornalista inglese Jon Snow, il premier ha balbettato nell'intervista a Channel 4 , per poi capitolare sostenendo che l'Arabia fornisce «importanti informazioni di intelligence che ci tengono salvi» dal terrorismo. Quindici dei dirottatori dell'11 settembre erano sauditi. E Londra regala al regime che li ha allevati una poltrona d'onore per la difesa dei diritti umani. E per tenerci «sicuri».

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