Prima un tweet lapidario in cui lasciava intendere di essere pronto a lasciare la Rai per diventare produttore di se stesso «ovunque sarà».
Poi, ieri, un'ampia intervista a la Repubblica per spiegarsi meglio e lanciare qualche messaggio. Fabio Fazio è in agitazione. All'improvviso, il conduttore ha aperto la finestra, guardato che tempo che fa in Viale Mazzini e scoperto che tira aria di burrasca. Cosa nota da mesi a chiunque. È strano che un uomo di televisione del suo calibro, da 34 anni in Rai, se ne accorga soltanto ora. Difficile dire cosa abbia risvegliato i fino a qui sopiti sensi del presentatore. Oggettivamente, la denuncia dei guai di Viale Mazzini coincide con un paio di scadenze che lo riguardano in prima persona: il rinnovo del contratto, a questo punto difficile ma non impossibile, e l'approvazione, al momento soltanto ipotizzata, del tetto di 240mila euro agli stipendi degli artisti Rai. Insomma, viene il sospetto che la battaglia di Fazio abbia come propellente anche l'interesse a non vedere ridotto il proprio compenso (circa un milione e 800mila euro all'anno). Fatto più che legittimo, Fazio vale quello che costa, ma l'impegno civile contro le ingerenze dei partiti allora c'entrerebbe fino a un certo punto. Fazio lancia un grave allarme: «In questi mesi abbiamo assistito a un'intrusione della politica nella gestione della Rai che non ha precedenti». La ferita «insuperabile» è il famigerato limite ai compensi, che tanta sofferenza sta causando ai divi, mai come in questa occasione strenui difensori del libero mercato. «Si è rotto il patto di fiducia» con l'azienda, dice Fazio. La misura è stata promossa dal Partito democratico, accusato di incoerenza: «Capisco che oggi siamo tutti liquidi e movimentisti. Credo però che la fedeltà ad alcuni principi aiuterebbe a non smarrire la strada».
Belle bordate. Eppure non abbiamo sentito la voce di Fazio tra quelle che si lamentavano delle nomine filo-renziane dal direttore generale Antonio Campo dall'Orto in giù. Non risulta si sia stracciato le vesti in difesa di Nicola Porro o Massimo Giannini, giornalisti fuori dal coro inneggiante all'ex premier e quindi rimossi. L'interesse del Partito democratico per la Rai è stato definito una occupazione militaresca da più parti ma non da quelle silenti di Fazio. Anzi. Il conduttore ha invitato Matteo Renzi: non era forse l'occasione ideale per chiedere spiegazioni sull'invadenza «senza precedenti» dei partiti, quello democratico in particolare, corrente di maggioranza per essere precisi? A margine, c'è da ricordare che Fazio è stato criticato per invitare sempre le stesse persone. Gli ospiti devono avere una caratteristica importante: pensarla come Fabio Fazio. Che tempo che fa è dunque diventato il tempio del perbenismo, il regno degli artisti talentuosi ma spesso privi di coraggio. I politici occupano la Rai, non c'è che dire. Fazio anche: il servizio pubblico non è proprietà sua e dei suoi autori. La visione di Che tempo che fa, con quelle schiere di facce politicamente corrette, suggerisce l'inesistenza di un essere umano controcorrente che meriti di essere intervistato. È una visione molto partigiana.
Fazio dice a la Repubblica molte altre cose interessanti. Una in particolare: «Nessuna difficoltà a lavorare con Mediaset». Non sarebbe una dichiarazione sorprendente se non provenisse da chi ha alimentato, attraverso le sue trasmissioni, non solo Che tempo che fa ma anche Vieni via con me e altro, il carrozzone anti-berlusconiano. Troppo abile per sbilanciarsi in prima persona, Fazio ha giocato per lustri a far sbilanciare i suoi ospiti, che non aspettavano altro.
Adesso, assicura Fazio, tutto è diverso: «In questi mesi si è frantumato un quadro che era molto definito». Quindi Fabio, alla fine di questa stagione, libero da ogni vincolo, andrà dove lo porta il mercato. Magari proprio a Mediaset o in Viale Mazzini a firmare un ricco rinnovo.
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