Cronaca nera

La rom e il diritto di non essere ladra

Meri ha trentanove anni e aspetta un bambino. Tre giorni fa, alle cinque e mezza della sera, si è ritrovata faccia a terra, sdraiata sul pavimento della metropolitana di Termini, davanti ai vagoni, presa a calci e pugni da un gruppetto di uomini

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Meri ha trentanove anni e aspetta un bambino. Tre giorni fa, alle cinque e mezza della sera, si è ritrovata faccia a terra, sdraiata sul pavimento della metropolitana di Termini, davanti ai vagoni, presa a calci e pugni da un gruppetto di uomini. Qualcuno ha cercato di intervenire ed è stato scacciato in malo modo. C'è un video, confuso, girato con il telefonino, che racconta quello che è avvenuto. Meri è una rom e viaggiava da una stazione all'altra per rubare. È una ladra. Non per scelta. Il linciaggio di questa madre non è l'azione collettiva di chi è stato derubato. Non è un caso vergognoso di giustizia sommaria, fai da te. È peggio. È la punizione pubblica dei suoi «capi». È la lezione in diretta di chi le vive accanto, della sua gente. Meri non ha raccolto abbastanza soldi. Non ha rubato abbastanza, perché a un certo punto ha detto basta. «Non voglio più». Botte su botte, calci su calci.

Meri era incinta di otto mesi e proprio ieri ha partorito, prima del tempo, all'Umberto I di Roma. Il bambino è salvo e anche lei. Si è ribellata ai suoi «padroni», in una città che ormai sente tutto il peso dell'eternità e dove quasi non ci si fa più caso se le future mamme, con la pancia in vista, si muovono furtive tra la folla della metro. Il fatto di essere madre per il clan del borseggio è un vantaggio. È il momento migliore per una ladra. È quando non rischi il carcere, quasi che fare figli fosse solo una scorciatoia per limare i rischi del mestiere. Questo stratagemma, antico e universale, è diventato un tratto culturale. Non appartiene a tutto un popolo, perché non si è ladri semplicemente per appartenenza. Non è una condanna generale per i rom. È qualcosa che però ha a che fare con gli alibi che la cultura occidentale si costruisce. Se da una parte c'è la pancia («cacciamoli tutti»), dall'altra c'è chi si rifugia nella cecità ideologica. Il risultato è che in nome del rispetto del «modo di vivere» si cancellano i diritti inviolabili. Quasi non fa scandalo che qualcuno sia costretto a rubare, non importa che sia donna o bambino. Si dice: è la loro cultura. Non spunta il patriarcato. Non è solo una questione di rispetto della legge. È qualcosa di più profondo. È come se la violenza che arriva da lì sia in qualche modo da tarare. È lo stesso riflesso per cui non si vedono in piazza ragazze e ragazzi contro chi ammazza una donna solo perché non indossa un velo. È così, con un gesto di indifferenza, che i vecchi diritti universali sono stati scarnificati.

Meri ha detto basta anche per quelli che fingono di non vedere.

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