Il salvagente del rimpasto

Oggi a ora di pranzo Giuseppe Conte si presenterà al Consiglio europeo di Bruxelles esattamente come ieri sera si è congedato dal Senato

Il salvagente del rimpasto

Oggi a ora di pranzo Giuseppe Conte si presenterà al Consiglio europeo di Bruxelles esattamente come ieri sera si è congedato dal Senato. Un premier dimezzato, impaurito e paralizzato dal fuoco incrociato dei suoi alleati. Non solo Matteo Renzi, che nell'aula di Palazzo Madama ci ha tenuto a «dire le cose in faccia» al presidente del Consiglio, ma pure Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio. Che da mesi, più o meno off the record, fanno filtrare la loro insofferenza verso un Conte ormai considerato «non in grado di gestire i dossier». Convinzione che, per ragioni diverse, accomuna il segretario del Pd e il ministro degli Esteri grillino.

Il premier lo sa bene. E - nonostante lo scontato via libera di Camera e Senato alla riforma del Mes - inizia ad accusare i ripetuti affondi dei leader della maggioranza che, invece di sostenerlo, continuano quotidianamente a boicottarlo. Un quadro ormai fragilissimo, che i vertici delle istituzioni europee hanno fin troppo chiaro. Al punto che, da giorni, persino Paolo Gentiloni e David Sassoli - commissario Ue per l'Economia uno, presidente del Parlamento europeo l'altro - fanno fatica a non prendere le distanze da Conte con i diversi interlocutori europei con cui hanno occasione di parlare. Difficile, peraltro, dargli torto. Basti pensare che se ieri la presidenza tedesca dell'Ue è riuscita a raggiungere un accordo di massima sul Recovery fund con Polonia e Ungheria e superare la loro minaccia di veto, oggi il nostro premier si presenterà a Bruxelles senza un mandato chiaro del governo italiano. Il Consiglio dei ministri sulla governance del Next Generation Eu è infatti slittato di giorno in giorno a causa dei veti di Renzi e delle perplessità del Pd. E ben che vada - così, almeno, è nelle intenzioni di Conte - si terrà domani, al suo ritorno da Bruxelles. Insomma, un premier dimezzato in Italia e in Europa, dove oggi sarà l'unico leader Ue a presentarsi senza un mandato forte. Peraltro, la presidenza della Commissione Ue ha ben chiaro che sui progetti del Recovery fund il nostro Paese è in gigantesco ritardo. Al di là dello storytelling veicolato da Palazzo Chigi, infatti, i ministeri delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico - i dicasteri che hanno le strutture tecniche per mettere nero su bianco piani infrastrutturali e industriali specifici, con relativi costi e tempistiche - non hanno ancora prodotto alcun dossier che non sia scopiazzato da quelli già dormienti nei cassetti da anni. Con il rischio concreto che gli oltre 200 miliardi di euro destinati al nostro Paese dal Recovery fund finiscano per diventare 20 o 30. Passando da un potenziale Piano Marshall 2.0 a poche briciole da concedere a un'Italia su cui pesa lo stigma di non sapersi amministrare.

Questo è il quadro in cui - a Roma e a Bruxelles - si muove un Conte sempre più logorato. Che ieri sera ha lasciato il Senato ostentando sicurezza («sono tranquillo»), ma che sa bene quanto il cerchio si vada pericolosamente stringendo. Renzi ha detto chiaramente che Italia viva non voterà la manovra se la gestione dei fondi del Recovery sarà affidato a una task force invece che al Parlamento e se sarà presente la norma che istituisce la fondazione sulla cybersecurity. Il premier ha capito che l'aria si fa pesante, è pronto a fare retromarcia sulla governance dei fondi europei e ha anche messo sul piatto un corposo rimpasto di governo. A gennaio, approvata la legge di Bilancio, Conte è pronto a distribuire poltrone a tutti pur di restare a galla. A Zingaretti e Di Maio quella di vicepremier, a Renzi quella di ministro degli Esteri. Il punto è capire se basterà, perché in molti oggi si stanno ormai muovendo come se l'autoproclamato «avvocato del popolo» fosse già un dead man walking e la sua esperienza a Palazzo Chigi fosse di fatto conclusa.

Hanno questo timore anche al Quirinale.

Dove si minacciano elezioni anticipate (che sono l'ultima cosa che vuole davvero Sergio Mattarella) solo per fare pressione sui tanti dissidenti della maggioranza. Ma dove già si ragiona su come muoversi quando, a inizio del prossimo anno, dovesse davvero aprirsi la crisi di governo.

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