Cronache

Per salvare il calcio l'unica ricetta è prevenire

Per salvare il calcio l'unica ricetta è prevenire

C elebra il compleanno tutti i giorni dell'anno tranne quello in cui sei nato. La provocazione non è mia ma ben si adatta alla nevrosi culturale del calcio italiano rispetto al problema degli ultras. L'emergenza insomma c'è sempre, è sotto il nostro naso tutte le volte che si gioca, ma i cori giornalistici e sociali e politici sgorgano solo sull'onda di vittime e scontri degni della peggiore guerriglia. Una guerriglia senza idee e senza ideologie, ispirata solo al culto dell'odio assoluto, dell'annientamento dell'altro, della violenza eletta a unica grammatica esistenziale. Cosa c'entrano gli ultras con il calcio? Niente. Dunque tutto. Perché il calcio tollera, fa finta, si incazza solo quando la punta dell'iceberg ha già sfondato il suo Titanic senza metterlo mai davvero in discussione. Si gioca comunque, the show must go on, un calcio alla violenza, domani è un altro giorno, anzi un'altra giornata, di campionato. Mi spiego meglio: ogni volta che c'è una tragedia, scatta il piagnisteo politicamente corretto delle indignazioni, delle infantili analisi politiche con il bisogno atavico di questo Paese di dar la colpa all'uomo di successo del momento (vedi Salvini), ma tutte le altre domeniche dell'anno dov'erano i benpensanti? Dico domenica per metafora visto che si gioca a ogni ora e in ogni giorno, ma il concetto è chiaro. Quelli che si sono organizzati con mazze e roncole e hanno assaltato i tifosi avversari non hanno dato sfogo a un istinto terribile ma occasionale. Si sono appunto organizzati, hanno avuto tempi, mezzi, informazioni, connivenze. E le connivenze non sono solo quelle penali di chi effettivamente li aiuta, li protegge, li foraggia, ma anche di tutti quelli che fanno finta di niente. Culturalmente è colpa di tutti noi, cosiddetti operatori dei media, in primis i media sportivi, senza che qui nessuno si offenda superficialmente. Il fenomeno degli ultras è il rimosso freudiano di una cultura complessiva che vuole rinchiudere nel rettangolo di gioco un Gioco che non è più solo proiezione estetica, anestetico plebeo, ma vero e proprio sistema dove vive e convive ormai una vera e propria classe sociale oscura quanto evidente. Una classe composta da individui al limite, dove il finto tifo estremo, il folclore delle curve, il sostegno del cuore puro, l'identificazione psicotica con i colori di una squadra, mascherano delinquenza, droga, bagarinaggio, minacce, condizionamenti. Tutte queste cose si sanno o no anche quando un intero Paese alle prese con la manovra finanziaria e le liturgie della fine dell'anno si sciocca per l'audio di quelli che fanno con orgoglio il bottino di morti e feriti? Certo lo shock è forte, ma sono forti anche le sciocchezze sentite. La deriva della campagna elettorale perenne, il «dagli a Salvini» perché ha sondaggi migliori, la poetica del calcio Assoluto che non c'entra con la violenza, le società delle varie squadre che non sanno mai cosa fare, i soloni che chiedono misure che già ci sono e che dormono le altre domeniche, gli altri giorni non del compleanno di sangue. Ricordate la metafora iniziale? Sennò rileggete l'articolo. Dobbiamo vigilare e scegliere di punire sempre o comunque prima, non solo quando ci scappa il morto.

Nel sonno della loro e della nostra Ragione, tra una panchina di Ronaldo e il licenziamento perenne di Gattuso, qualcuno sotto i nostri occhi prepara striscioni e azioni militari nelle nostre città, addobbate a festa, anzi no, addobbate a lutto.

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