Radical chic

Scanzi-Boldrini, la storia mai letta degli ipocriti rossi

Racconto semiserio sulle polemiche che hanno investito Andrea Scanzi e Laura Boldrini

Scanzi-Boldrini, la storia mai letta degli ipocriti rossi

I riferimenti a fatti e persone non sono volutamente casuali, ma la ricostruzione è completamente inventata.

All’interno della cucina che ha curato e pulito negli ultimi otto anni, Lilia, collaboratrice domestica moldava, guarda sconfortata il suo potente datore di lavoro.
“Non posso venire a lavorare anche il sabato - dice - E poi per meno ore di quante ne faccio adesso. Parto ogni giorno da Nettuno per raggiungere Roma… così non converrebbe più”.

Di fronte a lei, altezzosa come sempre, c’è Laura Boldrini, ex presidente della Camera, deputata della sinistra, una vita spesa a sostenere le cause degli stranieri e delle donne.
“Io ho bisogno di qualcuno anche il sabato”, ribatte lei.
“Mi dispiace signora. Così non posso accettare: venire da lì per sole tre ore di lavoro non ha senso”.
“Allora dovremo chiudere il nostro rapporto”, replica inflessibile la padrona di casa. “Ti pagherò il tfr e quando previsto dal contratto. Poi amici come prima”.

Sul volto di Lilia cade un velo di tristezza. Boldrini non dovrebbe comportarsi come un capitalista qualsiasi: da lei non si sarebbe aspettata così poca empatia. Decide allora di farsi coraggio:
“Signora mi scusi… dovrebbe anche versarmi gli scatti di anzianità”
“Quanti soldi sono?”
“Beh, direi circa tremila euro: sa, di questi tempi ogni soldino in più aiuta…”.

Boldrini fa una smorfia. Prende dalla borsetta il cellulare, digita il numero dal commercialista e attende la risposta. Dopo qualche minuto di silenzio passato in ascolto, rimette a posto il telefono e si rivolge alla colf:
“La dottoressa mi conferma che la cifra è un po’ inferiore, cara Lilia. Avrai solo quanto ti spetta”.
“Non è vero, glielo giuro”
“Facciamo così: tu parlane col Caf, io con la mia commercialista. Appena troviamo un accordo ti darò quanto previsto dalla legge”.

Passano pochi minuti di silenzio. Lilia è a pezzi. “Otto anni a sgobbare in silenzio e questa si impunta su 3mila euro?”. Il pensiero le martella in testa con così tanto ardore che teme di averlo urlato ad alta voce. La pancia ribolle rabbia, il cuore dolore. Improvvisamente le guance le rigano il viso, ma evita di singhiozzare. È in quel momento che si rende conto di aver perso il lavoro proprio adesso che trovarne uno è un terno al lotto. “Ci sarà un altro impiego così?”.

Fuori dalla finestra intanto il sole riscalda una Capitale al solito mite. Il coronavirus ha da poco allentato la presa su un’Italia ancora scossa dalla crisi pandemica: migliaia di morti, un Pil in calo dell’8,8%, il blocco dei licenziamenti, la cassa integrazione, i ristori che non arrivano. Entrambe guardano l’orizzonte. In cucina cala uno strano silenzio. Poi all’improvviso Laura guarda Lilia piangere e, come colpita da quel gesto dignitoso, si blocca. I pensieri le si accavallano in testa: “E se stessi sbagliando tutto?”. Lei, paladina dei diritti delle donne, madrina delle pari opportunità, in meno di un attimo afferra al volo: si rende conto che lasciare per strada la signora che per anni le ha fatto da colf, in un momento così drammatico per il mercato del lavoro, sarebbe un’ingiustizia. Soprattutto per colpa di un capriccio del sabato. Privare di un contratto una donna che in tanti anni non ha dato alcun problema, improvvisamente appare all’ex Presidente della Camera uno schiaffo a tutti i lavorator* in difficoltà. “In fondo in fondo, ho un reddito di 108mila euro all’anno”, pensa tra sé e sé la deputata, “e Montecitorio il mio stipendio non ha mancato di versarlo neppure nei momenti più drammatici della pandemia”.

Così si gira verso la collaboratrice e, sorridendo, le dà la buona notizia:
“Senti Lilia, fai finta di nulla. Continua pure a lavorare per me dal lunedì al venerdì. Per il sabato farò uno sforzo, cercherò qualcun altro cui fare un nuovo contratto. Mi costerà di più, ma in questo momento mi sembra più corretto”

“Grazie signora”, singhiozza la colf.
“Ah, e ho deciso di darti anche un premio di produzione da 3mila euro: credo facciano più bene a te che a me”

Il volto di Lilia si illumina di gioia: “Lei sì è una donna meravigliosa, una vera militante di sinistra e un politico coerente”.

Andrea Scanzi

Intanto nel silenzio del lussuoso Hotel Palace di Merano, Andrea Scanzi si sta guardando allo specchio. È da poco finita l’ultima puntata di Otto e Mezzo. “Quanto sono bello e quanto sono bravo”, sorride sottovoce. “Anche oggi li ho stesi tutti: vedrai domani come cresco nelle interazioni social. Sarò ancora il giornalista italiano più potente di tutta la Rete”.

Improvvisamente squilla il telefono.
“Pronto?”, risponde Scanzi.
“Salve Andrea, sono il medico di base”
“Dottore, mi dica”
“Guarda che può darsi che ti chiamino per fare un vaccino: come avevi chiesto sei stato inserito nella lista dei riservisti”

Scanzi, un po’ sorpreso, non sta più nella pelle: “Va bene, cosa devo fare?”
“Niente: devi aspettare che ti chiami il referente dell’Asl. Però ti avverto: non potrai scegliere quale vaccino farti inoculare e dovrai essere qui ad Arezzo, perché ti chiameranno all’ultimo”.
“Ottimo, non mancherò”.

Messo giù il cellulare, Scanzi torna a osservare il suo riflesso allo specchio. “Mi farò vaccinare e poi lo racconterò a tutti, così sai che figata: like a non finire, condivisioni che si sprecano. Potrei pure diventare il testimonial di AstraZeneca, mica ho paura dei trombi io”.

Qualche giorno dopo, arriva la chiamata dall’Asl. Scanzi carico a pallettoni si presenta al centro vaccinale aretino, tira giù la maglietta nera da simil rockettaro e protende il braccio con fare eroico. Passano 15 minuti, nessuna controindicazione. Scanzi torna verso casa in sella alla moto e già sulle dita sente prudere le parole del prossimo post. “Deve spaccare”, dice. “Anzi: faccio un video che è pure meglio e magari diventa virale come quello in cui dicevo che il coronavirus era poco più di una influenza”.

Appena ferma la moto davanti casa, squilla di nuovo il telefono. È Peter Gomez.
“Direttore, come ti butta?”
“Ciao Andrea, ho saputo che sei andato a fare il vaccino. È vero?”
“Sì Peter, una figata. Adesso lo sparo su Facebook, Youtube, Instagram, Twitch, e se riesco mi faccio intervistare pure da Lilli. Che te ne pare?”
“No fare cazzate, Andrea. Avrai anche fatto tutto nelle regole, ma non andare a sbandierarlo ai quattro venti. Qui ci sono 80enni che non hanno visto uno straccio di dose, persone che rischiano di crepare. Mica come te”.
“Ho capito ma io sono un caregaver, i miei genitori sono fragili”
“Ecco appunto, e perché allora non hai inserito loro nelle liste dei riservisti?”
“Ehm…”
“Senti Andrea, tienitela per te questa cosa. Se poi esce vabbè, ma è meglio non fare gli spacconi. Pensa ai politici toscani, o agli avvocati, che avrebbero potuto vaccinarsi e hanno deciso di evitare. Quando sei un personaggio pubblico a queste cose devi pensare. Non fare il gradasso”.

Scanzi chiude la chiamata un po’ irritato. Ma pensieroso. “Forse Peter ha ragione. Meglio se evito: cosa avrei scritto io di Maria Elena Boschi se si fosse vaccinata saltando la fila? Anche se si fosse iscritta seguendo tutte le regole, avrei scritto: ‘E che cazzo, prima gli anziani e poi i privilegiati renziani’. Forse è meglio se me lo tengo per me”.

A quel punto mette il cavalletto alla moto, rientra in casa, poggia le chiavi sul bel piatto all’ingresso. E mentre sale le scale, riflette: “Ora che ci penso, quando la scorsa estate uscì la notizia dei deputati che, in pieno lockdown, hanno chiesto e ottenuto il bonus partite iva da 600 euro, io mi incazzai come un riccio”.

Entrato in camera, si mette subito al pc per ripescare quel vecchio post. É datato 9 agosto. Scanzi lo rilegge rapidamente: “Direi il massimo dello schifo… Sarebbe bello conoscere questi sei nomi.… Non appena li saprò, li pubblicherò su questa pagina… Che bella gente esiste al mondo…”.

Quelle frasi hanno un effetto dirompente su Scanzi: “E che cazzo… a pensarci bene pure quei 5 parlamentari avevano rispettato tutte le regole, come me col vaccino. Se ho bacchettato loro, dovrei redarguire pure me stesso. Ha davvero ragione Peter: per coerenza è meglio se me ne sto zitto e buono”.

Laura Boldrini

Roma, palazzo Montecitorio. Squilla il cellulare di Laura Boldrini.
“Onorevole, sono Roberta da Lodi”
“Salve Roberta, dimmi”
“Senta mio figlio sta male. Non riesco più a venire da Lodi tre giorni alla settimana per farle da collaboratore parlamentare. Posso continuare a lavorare in smartworking?”

Boldrini, irritata, sbuffa senza timore di nascondere il disappunto:
“No Roberta, mi dispiace. Ho bisogno di persone che stiano qui”
“Ma scusi, in fondo le devo solo tenere l’agenda. Poi lei mi fa prenotare il parrucchiere, le visite mediche. Non mi dica che mi vuole lì perché devo andarle a ritirare le giacche dal sarto, i trucchi e i pantaloni. Sarei una collaboratrice parlamentare, non la sua schiava
“Ora non fare la vittima”, replica Boldrini, “ti pago anche per questo”
Dopo un attimo di silenzio, Roberta si fa coraggio:
“Ecco, a proposito di stipendio. Con 1.200/1.300 euro al mese non riesco a viverci. Da quei soldi devo togliere i costi di alloggio a Roma e i treni da Lodi. È troppo. Come do da mangiare ai miei figli?”
“Fai poco la spiritosa: col lockdown non sei mai venuta a Roma e hai risparmiato. E poi lavorare con me è un privilegio, mica uno lo fa per viverci. Se i problemi sono questi, è meglio se dividiamo le nostre strade”

Roberta piange e riattacca la chiamata. Boldrini è soddisfatta: non si è fatta fregare. Cammina per i corridoi della Camera e pensa di fare un post su Facebook. Dopo una mezz’ora telefona all’addetto stampa: “Ciao Mario, scrivi qualcosa sulle mamme lavoratrici. Un bel post sule donne che sono costrette a doversi licenziare perché col coronavirus, le zone rosse e le scuole chiuse devono scegliere tra la famiglia e il lavoro. Il governo deve garantire bonus babysitter. E i datori di lavoro non possono costringerle a scegliere tra i figli e la carriera. È una battaglia di civiltà”
“Onorevole mi scusi…”
“Dimmi Mario, che c’è?!”
“Ho parlato con Roberta poco fa, mi ha detto che non le ha permesso di restare in smartworking col figlio malato e che quindi si è dovuta dimettere. Non le sembra un po’ incoerente mettersi a pontificare sui diritti delle donne lavoratrici?”
“Ehm…”
“Io eviterei”.

Laura allora capisce l’errore. Vuole riparare. Richiama subito Roberta ma il telefono suona a vuoto. “Dai Roberta rispondi, ti prego”. Il telefono continua a squillare. Una, due, tre volte. Niente. “Tuut… Tuuut… Tuut…”. Boldrini riprova. Uno, due, tre squilli. Nulla. Poi all’improvviso…. DRIIIN DRIIIN DRIIIN

In quell’istante suona la sveglia.

Sia Scanzi che Boldrini si svegliano di soprassalto, tutti sudati. Lui è nel letto col suo pigiama di lino, lei in camicia da notte tutta sola in casa. Fuori la luna è ancora alta. Dopo un attimo di smarrimento, i due capiscono: per fortuna erano solo un brutto sogno. La colf riassunta, il silenzio sul vaccino, la collaboratrice parlamentare lasciata in smartworking: tutto finto. E senza saperlo, a chilometri di distanza l’uno dall’altra, dicono all’unisono: “Che incubo. Nella vita mostrarsi coerenti va bene. Ma è sempre meglio non esagerare”. Così l’indomani lasceranno a casa Lilia, faranno dimettere Roberta e racconteranno al mondo di essersi vaccinati in barba agli ottantenni che muoiono di Covid. Facendo l'esatto contrario di quello che normalmente predicano.

Alla faccia della coerenza dei bacchettoni radical chic.

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