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Se Bergoglio omaggia i preti divisivi

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Che cosa vuol dirci Papa Francesco con i due (brevi) viaggi apostolici a Mantova e a Firenze? Quale significato leggere nell'omaggio alle tombe di due preti «discussi» come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani? Durante il congresso con cui il Pd cercava di eleggere il suo leader (tenzone poi vinta, com'è noto, da Matteo Renzi) lo sboccatissimo foglio livornese Il Vernacoliere, da sempre schieratissimo a sinistra, titolava sulla locandine di strada: «Perché non eleggete Bergoglio? Almeno è di sinistra» (la citazione non è precisa, vado a memoria, ma il senso è quello). Che il cuore di Papa Francesco batta dal quel lato - non si sa se politicamente, ma ecclesialmente è molto probabile - è ormai assodato per molti commentatori. Agli altri, quelli che avevano sperato nella restaurazione iniziata da Benedetto XVI, non resta che stringersi nella spalle e rassegnarsi: «Boh, il papa è lui». In effetti la Chiesa a stretto giro di tempo era stata sottoposta alla doccia scozzese: prima un papa conservatore e poi uno progressista. Prima un Ratzinger che ripristinava la croce astile e perfino il camauro, e concedeva la celebrazione del vecchio rito latino su richiesta. Poi un Bergoglio che non ha mai nascosto le sue simpatie per i leader e i movimenti di sinistra sudamericani, nonché per tutti i temi politicamente corretti del momento, dall'«accoglienza» oves et boves di ogni immigrato, all'ecologia, compresi i luoghi comuni correnti (sui quali la scienza non è affatto unanime, anzi) sul riscaldamento globale. Questo pellegrinaggio alle tombe di due preti che ai loro tempi divisero gli animi è, dunque, perfettamente in stile. Per quanto riguarda don Milani, anzi, alla pubblica presentazione del Meridiano che la Mondadori ha dedicato alle sue opere, papa Francesco non volle mancare, inviando un suo video di plauso. Ma è anche vero che don Milani col suo Esperienze pastorali fece sobbalzare papa Roncalli - san Giovanni XXIII, canonizzato proprio da Bergoglio - sul trono (e il «Papa buono» gli diede del «pazzo scappato dal manicomio»). L'alta borghesia fiorentina gli portava sovvenzioni per la sua scuola e ne riceveva in cambio insulti. Le bozze della famosa Lettera a una professoressa pare contenessero un sacco di espressioni estreme che l'editore si vide costretto a cassare. Quando i vertici della Chiesa cominciarono a innervosirsi, «gli unici a difendermi finora» furono i comunisti. Ai cappellani militari toscani che, nel 1965, cristianamente avevano auspicato la fine delle divisioni ideologiche almeno per i morti, rispose con pepati volantini e poi su Rinascita (la rivista del Pci): «Io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi». E si potrebbe continuare con le citazioni di un prete indocile che qualcuno, anche ai giorni nostri, non ha esitato a definire «cattivo maestro» (Marcello Veneziani, 23 aprile 2017).

Perciò, rimane sospesa la domanda: che ci va a fare, Francesco, sulla tomba di una figura che ancora divide gli animi? Quale segnale vuole dare? La mossa rischia di beatificare l'«obbedienza non è più una virtù», cosa che potrebbe anche - perché no - ritorcerglisi contro. E Papa Francesco, da quel che si sa, non è uno che sopporti il dissenso alla sua linea.

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