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Se la maggioranza diventa variabile

Se la maggioranza diventa variabile

Com'era prevedibile, il confronto-scontro sul Mes si risolve in un grande bluff. Con uno spartito già scritto da tempo e che va in scena per l'intera giornata tra le aule di Camera e Senato, dove si votano le risoluzioni sulla riforma del cosiddetto Fondo salva-Stati di cui si discuterà all'Eurosummit in programma domani mattina a Bruxelles. Il tutto senza alcun pathos né agitazione, come certificano i volti distesi e sorridenti dei senatori che nel pomeriggio arrivano alla spicciolata nella Sala Garibaldi di Palazzo Madama. D'altra parte, nonostante i tanti presunti dissensi in seno al gruppo M5s del Senato, hanno tutti ben chiaro che non esiste un problema di tenuta della maggioranza.

Lo sa bene anche Luigi Di Maio, che nei giorni scorsi aveva minacciato fuoco e fiamme e che ieri ha preferito volarsene in Albania per una visita di Stato così da non mettere la faccia sull'ennesima, gigantesca capriola grillina. L'ultima di una lunga serie dopo Tap, Tav, Ilva e chi più ne ha più ne metta. Nel programma con cui si presentò agli elettori nel 2018, infatti, il Movimento prometteva una vera e propria crociata contro il Meccanismo europeo di stabilità. Invece, proprio quelli che dovevano fare la guerra atomica al Mes ieri non hanno tirato neanche una palla di neve. Così, la risoluzione della maggioranza M5s-Pd a favore della riforma del cosiddetto Fondo salva-Stati passa con agio sia alla Camera (291 sì, 222 no) che al Senato (164 a 122). Con buona pace dei quattro senatori grillini che hanno votato in dissenso. Anzi, proprio a Palazzo Madama dove i numeri sono notoriamente più risicati, Giuseppe Conte può farsi forte di aver comunque superato quota 161, il magic number della maggioranza semplice.

Una giornata intera, dunque, con il Parlamento tutto preso a votare una maxirisoluzione di ben otto pagine nelle quali non si prende di fatto alcun impegno sul Mes, se non quello di permettere a Conte di presentarsi domani a Bruxelles senza avere le mani legate. Per il resto, tutto rimandato a gennaio, quando il premier dovrà tornare di nuovo a riferire alla Camera e al Senato. Insomma, una sceneggiatura a uso e consumo dei comunicatori di M5s e Pd, cosicché tutti possano veicolare la narrazione della vittoria. I dem perché hanno portato a casa il Mes, i grillini perché hanno rinviato la decisione finale. Sono i «miracoli» della politica, bisogna abituarsi.

Un dato politico, però, emerge chiaro. Ed è quello di una maggioranza sempre più fluida, pronta a imminenti mutazioni genetiche se la situazione lo richiedesse. Il destino di Conte, quando a gennaio sarà archiviata la legge di Bilancio, non è ancora chiaro. Ma sulla tenuta della legislatura sono molti i movimenti in corso. A favore della risoluzione M5s-Pd, per dire, ieri al Senato hanno votato anche il gruppo delle Autonomie e +Europa, a differenza di quanto avevano invece fatto lo scorso 10 settembre quando Conte si presentò a Palazzo Madama per la fiducia al governo. Ci mancherebbe, si è trattato pur sempre di un voto su una risoluzione specifica e il fatto di condividerne il merito è ovviamente la motivazione prevalente. Però, politicamente, resta pur sempre un segnale. Soprattutto se messo in contrapposizione ai quattro senatori grillini che si sono dissociati dal loro gruppo. La sensazione, insomma, è che se davvero a gennaio si dovesse arrivare a uno showdown nel M5s con passaggi di senatori pentastellati alla Lega, la maggioranza non avrebbe troppi problemi a reclutare i soliti «responsabili» pronti a controbilanciare le uscite. Soprattutto al Senato, d'altra parte, le grandi manovre sono in atto da tempo, con l'ex azzurro Paolo Romani che non esita a definire «già pronto» un gruppo di moderati a Palazzo Madama con dentro i delusi di Forza Italia che «non vogliono morire salviniani». Un gruppo che, di fatto, diventerebbe una clausola di salvaguardia sulla legislatura se davvero il M5s dovesse esplodere. D'altra parte, tabulati alla mano, più d'uno in Senato ieri pomeriggio faceva notare come alla Camera le 14 assenze dei deputati M5s fossero state sostanzialmente compensate dalle 20 registrate in Forza Italia. La fotografia della giornata di ieri, dunque, è quella di una maggioranza liquida.

Sì instabile, ma variabile al punto che se dovessero crearsi dei buchi c'è da supporre che sarebbero immediatamente riempiti.

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