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Se paragonano il velo islamico al fazzoletto delle nostre nonne

Il progetto ha interessato dieci istituti scolastici della Provincia sud di Salerno: "Il velo, si chiami hijab o maccaturo, può aprire la strada della conoscenza della diversità"

Se paragonano il velo islamico al fazzoletto delle nostre nonne

Il Hijab e il Maccaturi. È questo il titolo del libro nato da un perorso didattico che in questi giorni ha investito una decina di scuole in provincia di Salerno. E alla fine sembra che il velo delle musulmane costrette a portarlo venga assimilato ai fazzoletti delle nostre nonnine.

Partiamo dal principio. Per "capire il presente è accogliere l'altro", gli studenti sono stati coinvolti in un progetto didattico dal titolo "Le Giornate dell'intercultura" che poi è diventato anche un libro dal titolo "Hijab e maccaturi: l’altro ‘svelato’ dai ragazzi ai ragazzi". A partecipare al progetto sono state le scuole del territorio della Valle del Sele, dell'Alto Sele e degli Alburni Calore: una fetta di Italia che conta 80.000 abitanti con il 12% di presenza straniera.

L'obiettivo del programma era quello di "rispondere alla paura, provocata dalle stragi in Europa di matrice islamista, con la sete di conoscenza", come si legge nella presentazione del libro. Maria Luisa Albano, arabista e docente di lingua e letteratura inglese al "Perito-Levi", spiega al Sole 24 Ore: "Il nostro lavoro è stato suddiviso in varie sezioni: interletteratura, letteratura per bambini e per ragazzi, filosofia, diritto, personaggi ponte, culture alimentari". In sostanza si è cercato di "utilizzare la Letteratura Araba contemporanea, in specie il segmento per bambini e per ragazzi, in traduzione italiana, esaminando temi che vanno dal lavoro minorile, al diritto allo studio, all’adozione della libertà come bene universale ed inviolabile".

Pe favorire il rapporto tra Occidente e Islam, insomma, gli autori del progetto hanno ben pensato di usare "personaggi ponte" per unire le due realtà. In prima fila c'è il velo che, "si chiami hijab o maccaturo" può "aprire la strada della conoscenza della diversità in chiave non antagonista" così da sviluppare "una integrazione costituzionale, e non antagonista, e disinnescare la miccia delle stragi islamiste". Come scrive La Città di Salerno, "i ragazzi, hanno potuto in tal modo scoprire, pur nelle diversità delle categorie concettuali alla base dell’Islam e dell’occidente, elementi di unione comune, 'personaggi-ponte' presenti in molte culture e quindi condivisi, come ad esempio i copricapi. Il velo può aprire strade di conoscenza della diversità in chiave non antagonista, è un simbolo religioso, come lo è anche il velo delle suore, che si ricollega al velo nuziale, fino ad arrivare al maccaturo, copricapo per eccellenza della tradizione folkloristica del sud".

Inutile però ricordare che il velo islamico significa anche altro. Significa i numerosi casi di cronaca che negli ultimi anni sono finiti sulle prime pagine dei quotidiani.

Le storie di bambine, ragazze e mogli che si ribellano al velo imposto come costrizione, e non come libera scelta. Basti ricordare il kosovare che picchiò la figlia fino a "non farla camminare" perché non voleva coprirsi. Oppure la donna picchiata di fronte al figlio per punire la sua voglia di vivere scoperta. Non basta? A Padova una 16enne che a scuola non voleva portare il velo è stata tenuta a casa dai genitori. Solo per citarne alcuni.

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