Quel segreto milionario degli ultimi giorni di Maranghi

Un retrosccena a dieci anni dalla morte: anche alla fine dei suoi giorni disse no a un'offerta di Mediobanca

Quel segreto milionario degli ultimi giorni di Maranghi

C'è un piccolo, grande segreto sugli ultimi giorni di Vincenzo Maranghi. Che ci siamo tenuti per dieci anni, ma che oggi possiamo rivelare. In molti ricordano quella mattina di aprile del 2003 quando uscendo per l'ultima volta dal suo ufficio di piazzetta Cuccia trovò i suoi dipendenti in piedi nel cortile a tributargli un applauso corale. In quelle ore Maranghi ebbe modo di dire: «Non voglio ringraziamenti e non un euro in più». Il banchiere che per 42 anni aveva lavorato a Mediobanca e che di fatto l'aveva guidata, con Enrico Cuccia, almeno per venti, non si può certo confondere con la vasta platea di ex banchieri diventati milionari grazie alle buone uscite pagate dagli azionisti di banche non sempre lasciate in buona forma. La sua carriera fu interrotta, come spesso avviene nelle lotte di potere, da un avversario dichiarato come Cesare Geronzi e molti complici, a partire da Alessandro Profumo e un buon numero di soci aderenti al patto di sindacato che governava l'istituto di via Filodrammatici.

C'è un piccolo grande segreto, dicevamo. E riguarda proprio quei soldi che sdegnosamente Maranghi aveva rifiutato. Ma facciamo un passo indietro. Comunicare il licenziamento di Maranghi non era cosa semplice. Furono quattro emissari del patto di sindacato a prendersene l'onere: Tarak ben Ammar, Vincent Bollorè, Marco Tronchetti Provera e Cesare Geronzi, uomini che rappresentavano gran parte del capitale della banca. Senza il loro appoggio non si poteva continuare. Ma fu il vecchio azionista di una vita, Pesenti senior, che lo avvicinò e più o meno gli disse: mi dica, dottore, qual è la cifra e la banca pagherà. Intendeva evidentemente la liquidazione, più bonus, gratifiche e roba del genere. L'uomo del cemento avrebbe dovuto immagine di commettere in questo modo una sconvenienza in pura perdita, tanto che Maranghi, rispose secco: «Dottor Pesenti, lei è un membro del patto di sindacato, ha dunque l'autorità di chiedere alla direzione del personale le mie spettanze». Tosto. «Non voglio ringraziamenti e non un euro di più». Si scoprirà con i bilanci degli anni dopo, che a Maranghi Vincenzo spetteranno 1,6 milioni di euro per i sui 42 anni di lavoro a Mediobanca, e per la gran parte a titolo di pagamento di ferie non godute. Peanuts per il settore creditizio.

Estromesso dalla banca ad aprile del 2003, le sue condizioni di salute peggiorano, fino a portarlo alla morte, il 17 luglio del 2007, esattamente dieci anni fa. Ma nessuno sa che quell'offerta di Pesenti fu ripresa da Cesare Geronzi, che nel frattempo aveva sostituito Maranghi alla guida dell'Istituto, pochi giorni prima della sua morte. È questo il piccolo grande segreto, che per pudore della famiglia e per volontà dei soci di Mediobanca che pur avendogli voltato le spalle lo continuano a rispettare, non è mai stato reso pubblico.

Maranghi non stava bene. Erano gli ultimi giorni della sua vita. I soci di Mediobanca, i suoi colleghi di lavoro, i suoi ex azionisti, tutti lo sapevano. Alcuni di loro avevano continuato a frequentarlo, a consultarlo anche nei quattro anni in cui era ritornato un privato cittadino e viveva nella sua storica casa nel centro di Milano. Fu in una di queste occasioni che gli prospettarono per l'ennesima volta di ripensarci, o meglio di pensare alla propria famiglia e a quel gran rifiuto economico che aveva fatto solo quattro anni prima. È così che nell'estate di dieci anni fa, l'istituto guidato dalla coppia Geronzi-Nagel predispose una delibera da fare votare al consiglio di amministrazione che prevedeva il riconoscimento di dieci milioni di euro alla famiglia Maranghi. Ancora poco rispetto alle liquidazioni milionarie in cui ci siamo imbattuti in questi anni e molto meno delle stock option che gli stessi manager allevati dal banchiere si erano elargiti. Un gesto che poteva avere il sapore di una sorta di condono tombale nei rapporti tra una parte dell'establishment finanziario italiano e il suo ex nume tutelare. Fu probabilmente Alberto Nagel, che per una vita aveva lavorato con il Dottore, che però capì che le cose non potevano andare così lisce. Pretese e ottenne che prima di portare in consiglio la delibera, anche la famiglia Maranghi, la moglie di Vincenzo e i figli, in specie Piero, fossero messi al corrente della decisione e l'approvassero. La banca, tutti i suoi soci di peso, avrebbero votato la delibera da dieci milioni, ma la famiglia che ne pensava? Il primo ad essere contattato fu proprio Piero Maranghi, che dal padre ha preso la signorilità e il tratto. La sua prima reazione fu di sorpresa, ma si riservò, ovviamente, il tempo di parlarne con madre e fratelli. Alla fine la risposta della famiglia fu secca: «Non vogliamo regalie da Mediobanca, l'istituto che Vincenzo ha servito per 40 anni».

Pochi giorni dopo Maranghi morì. Aveva previsto tutti i dettagli del suo funerale. Aveva preteso che si tenesse alle sei di mattina. Aveva stilato l'elenco degli ammessi alla cerimonia e di coloro che non dovevano azzardarsi a mettere piede in chiesa. Aveva preteso la messa tradizionale e in latino: esattamente il sette luglio di quell'anno papa Benedetto XVI aveva con un motu proprio liberalizzato il vetus ordo, il rito preconciliare. Aveva chiesto il lenzuolo bianco come ai vecchi tempi e come fiori desiderava solo un mazzo di grano.

Voleva che nessuno parlasse o lo ricordasse durante la celebrazione e che essa si chiudesse con un Salve Regina. Aveva previsto tutto, anche che i suoi figli e sua moglie non accettassero nulla da Mediobanca, cosa che forse per un attimo, in un momento di debolezza, aveva forse sperato che non avvenisse.

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