Coronavirus

Senza fiducia, treni e aerei questo Paese non riparte

La mobilità dolce. Quando i politici-per-caso ne scrissero nel programma nessuno sapeva cosa fosse. Somigliava alla supercazzola del conte Mascetti

Senza fiducia, treni e aerei questo Paese non riparte

La mobilità dolce. Quando i politici-per-caso ne scrissero nel programma nessuno sapeva cosa fosse. Somigliava alla supercazzola del conte Mascetti, inarrivabile musa di italianità che invece avrebbero riservato giustamente per la più alta carica esecutiva. Ora invece stiamo capendo: la mobilità diventa dolce quando te ne accorgi piano piano, doucement, come del resto tutte le cose dolci. In questa fase 2, in cui dobbiamo far ripartire la macchina operosa di 60 milioni di individui, siamo liberi di muoverci e per lavoro anche oltre i confini regionali.

Peccato che tra Roma e Milano, la direttrice più importante del Paese, i collegamenti siano ridotti al lumicino e di fatto scoraggiati. In aereo, due/tre voli al giorno, non su Linate bensì solo sul Terminal 2 di Malpensa, che non corrisponde esattamente a quella funzione di shuttle che tale collegamento deve avere. È per impiegare meno personale ed evitare i rischi di contagi. In effetti, fare finta di aprire è di gran lunga più sicuro che aprire veramente. Col treno non va molto meglio, con poche corse, utilizzo delle carrozze a metà e durata del viaggio ancora più dilatata. Chi rimpiange l'era Moretti, con arrivo a Milano in due ore e 55 minuti, sappia che quella mobilità era amara. Già prima del Covid servivano venti minuti in più e ora siamo a 45. La dolcezza è un piatto che si gusta poco per volta. Se poi è rétro meglio, si sposa con la decrescita. Come tutte le cose belle è pure cara: aereo o treno, servono almeno cento euro in più per non restare a terra. Insomma, liberi di muoverci, ma se non andiamo da nessuna parte è meglio. Dopotutto, non si capisce questa smania di andare e venire, quando abbiamo visto quanto si stia bene a casa, magari facendoci il pane da soli, che è tanto chic. La stessa filosofia che ispira la libertà di movimento più spicciola, quella quotidiana e cittadina. Puoi uscire, ma facendo finta di essere il tuo cane, passeggiando da solo e lontano dagli altri, annusando qua e là e per favore senza spingerti oltre nell'imitazione che sarebbe davvero sconveniente. Se per caso vedi degli amici, fagli bau da lontano, o magari una telefonata: la movida è un problema. Questi umani che si cercano, soprattutto quelli tra i 20 e i 40, spesso single: chissà poi perché? Di uomini e donne, ne sapeva di più Hal, il computer di 2001 Odissea nello spazio. L'economia è stata fermata, giustamente, spargendo il terrore del contagio. Se ora, per non morire di fame, deve ripartire, occorre sollevare quella cappa di terrore, altrimenti buona parte della domanda ancora rinuncia. Vuoi per prudenza, vuoi perché consumare è un piacere, che sia un caffè, una pizza o una spiaggia. Se costringi in code e altre amenità, anche no, grazie.

Schivare il rischio con mascherine e app è sacrosanto, restare in sospensione dalla vita è follia. Pure a girare in moto si può cadere. Uno sta attento, mette il casco, evita rischi inutili, però va. Purtroppo il virus c'è, facciamocene una ragione. Il fermo serviva a scongiurare quella gobba di ricoveri non gestibile, non ad aspettare che il virus scomparisse.

I pensatori c'avevano avvertito che niente sarebbe stato come prima. Bene, cominciamo con l'andare in pizzeria e poi a letto pregare di non esserci contagiati. È questo il cambiamento. Cos'è, ti aspettavi altro? Il trionfo del bene? Eh no, peccato. In un'economia avanzata la mobilità è la linfa del Paese, il sangue nelle vene. Girando freneticamente consumiamo. Consumando produciamo ricchezza. Producendola, possiamo distribuirla.

È comprensibile che chi non ne ha mai prodotta faccia fatica a capirlo.

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