L'analisi del G

Senza i soldati della Nato Kiev è finita

Nel 1944 Leslie Groves, il generale americano che dirigeva il Progetto Manhattan, chiese al suo capo scienziato J. Robert Oppenheimer quanto fosse potente la bomba che stavano cercando di costruire

Senza i soldati della Nato Kiev è finita

Nel 1944 Leslie Groves, il generale americano che dirigeva il Progetto Manhattan responsabile della produzione e dello sviluppo delle prime due bombe nucleari, chiese al suo capo scienziato J. Robert Oppenheimer quanto fosse potente la bomba che stavano cercando di costruire: era 10 volte più potente della più grande bomba dell'epoca, il «Tallboy» riempito con 10 tonnellate di TNT? Oppure era 50 volte o addirittura 100 volte più potente? Oppenheimer rispose che non poteva esserne certo, ma che sarebbe stato sorpreso se non fosse stata molto di più, forse mille volte... Groves rispose subito che un'arma così potente non sarebbe servita a nessuno, perché «i politici» non l'avrebbero mai usata.

Oppenheimer aveva indovinato perché la bomba all'uranio di Hiroshima era equivalente a mille bombe Tallboy e quella al plutonio di Nagasaki era ancora più grande; al contrario, sembrava che il generale Leslie Groves si fosse sbagliato, perché il presidente Truman autorizzò l'uso di entrambe le bombe non appena furono pronte, nell'agosto del 1945.

Fu solo cinque anni più tardi che prima gli Stati Uniti, poi l'Unione Sovietica e infine tutte le potenze nucleari successive, fino all'India e al Pakistan, scoprirono che Groves aveva ragione e che l'arsenale nucleare era davvero troppo potente per essere utile. Nel dicembre 1950, centinaia di migliaia di soldati cinesi attraversarono improvvisamente il fiume Yalu in Corea per attaccare le forze Usa che stavano combattendo per conto delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord. Con l'esercito americano che rischiava di perdere decine di migliaia di uomini, il comandante americano Douglas MacArthur decise che era necessario usare le armi nucleari per fermare i cinesi. Di gran lunga il leader militare americano più rispettato dell'epoca, l'uomo che aveva guidato le forze statunitensi nel Pacifico dalla sconfitta iniziale alla vittoria totale e che poi aveva agito come imperatore de facto del Giappone riformando drasticamente il Paese, MacArthur si aspettava che Truman avrebbe accettato il suo superiore giudizio militare. Invece la risposta fu un secco no. MacArthur insistette e fu licenziato.

Quando Truman aveva autorizzato le bombe di Hiroshima e Nagasaki cinque anni prima, né lui né altri sapevano che le esplosioni avrebbero causato anche una ricaduta di radiazioni, che avrebbe colpito, fatto ammalare e infine ucciso anche le persone che si trovavano troppo lontane dalla detonazione per essere direttamente ammazzate dal calore della bomba e dalla sua esplosione. Inoltre, nel 1945 Truman si trovava di fronte alla prospettiva di perdere molte più truppe per conquistare il Giappone di quante ne avessero perse gli Stati Uniti in tutti i combattimenti fino a quel momento, perché i giapponesi combattevano davvero fino all'ultimo uomo, come a Iwo Jima, dove 6mila marines morirono per conquistare 30 chilometri quadrati contro 18mila giapponesi. A quel punto, il Giappone aveva ancora due milioni di soldati e Truman sarebbe stato cacciato dalla Casa Bianca se avesse causato la morte di centinaia di migliaia di americani rifiutandosi di usare la bomba.

Ma cinque anni dopo, di fronte alla crisi coreana, Truman aveva l'alternativa di evacuare le truppe americane in Giappone, e quindi non prese nemmeno in considerazione l'uso delle bombe a fissione. Ben presto le bombe divennero bombe a fusione termonucleare, un milione di volte più potenti di «Tallboy», e il no di Truman del 1950 divenne l'unica decisione possibile sia per gli americani sia per i russi, ma solo dopo il totale fallimento di tutti i tentativi degli anni '60 e degli anni '70 di rendere le armi nucleari meno potenti ma più utili. I sostenitori di questo genere di armi, definite «tattiche», sostenevano che avrebbero potuto fornire un'artiglieria molto efficace e molto economica: pochi piccoli razzi dotati di testate nucleari che avrebbero sostituito centinaia di obici. Stati Uniti e Unione Sovietica spesero miliardi per le armi nucleari tattiche: non solo bombe «piccole» per i cacciabombardieri, ma anche razzi da bombardamento in grado di poter essere trasportati su una jeep, missili antiaerei, siluri, persino cariche trasportabili dall'uomo.

L'illusione durò poco, perché gli stessi pianificatori militari ebbero chiaro fin da subito che se gli americani avessero cercato di difendere il territorio della NATO dai russi con piccole armi nucleari tattiche, i sovietici avrebbero a loro volta usato lo stesso genere di proiettili. E così sarebbe stato per ogni altro tentativo di sostituire grandi e costose forze convenzionali con poche armi nucleari.

A quel punto, tutti capirono gradualmente che le armi nucleari sono sì utili, ma solo per dissuadere da un attacco nucleare. Cioè possono essere usate per reagire a un'offensiva, ma mai per ottenere un qualsiasi tipo di vittoria essendo i primi ad attaccare. In sostanza, le armi nucleari tattiche non erano economiche, ma anzi molto costose, perché non aggiungevano nulla alle armi nucleari strategiche già esistenti.

E così accadde che - mentre erano in corso elaboratissimi e pubblicizzati negoziati per la «limitazione degli armamenti strategici» tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica per limitare il numero di missili balistici intercontinentali, di bombardieri strategici e di sottomarini nucleari di ciascuna delle due parti -, i funzionari militari americani e sovietici smisero segretamente di sviluppare, fabbricare o schierare nuove armi nucleari tattiche e alcuni anni dopo iniziarono addirittura a ritirarle, sempre unilateralmente e senza troppa pubblicità. Si trattava di un processo semplice: gli ufficiali militari non volevano le pericolose armi nucleari sulle loro navi, sui sottomarini e nelle basi. Anche perché sapevano che non sarebbero mai state utilizzate.

Alla fine sono state le nuove potenze nucleari, l'India e il Pakistan, a dimostrare la totale inutilità delle armi nucleari tattiche. È accaduto che abbiano combattuto grandi battaglie l'una contro l'altra con migliaia di morti, senza che nessuna delle due parti accennasse, sottovoce, alla possibilità di usare armi nucleari. Del resto, molto tempo prima, gli israeliani, che già disponevano di armi nucleari, quando furono improvvisamente invasi dall'Egitto e dalla Siria nel 1973, li respinsero con durissimi combattimenti che causarono migliaia di morti, senza nemmeno provare a ricorrere alla minaccia implicita di distruggere il Cairo e Damasco.

Ecco perché quando il più fedele e feroce scherano di Putin, l'ex primo ministro ed ex presidente russo Dmitry Medvedev ha iniziato a parlare con toni minacciosi di armi nucleari tattiche dopo il fallimento dell'invasione russa dell'Ucraina, sono stati solo i giornalisti occidentali meno preparati (e quelli più obbedienti a Mosca) a prenderlo sul serio, profetizzando che se i Paesi della NATO avessero aiutato l'Ucraina, avrebbero rischiato una guerra nucleare (l'ho sentito dire in un programma tv italiano).

Alla fine, dopo diversi mesi di queste sciocchezze, Putin è uscito allo scoperto e l'ha detto: la Russia non userà le armi nucleari a meno che non sia in pericolo imminente di «distruzione», cioè necessariamente di distruzione nucleare, perché la Russia è più grande di San Marino e non può essere «distrutta» senza molte armi nucleari.

Ora la situazione sul campo si è nuovamente evoluta. Alle difficoltà dei russi frustrati che non riuscivano ad avanzare, si sono sostituite quelle degli ucraini che trovano sempre più complicato frenare l'invasione dei russi, che hanno preso alcune cittadine e minacciano di prenderne altre. Le armi nucleari tattiche (ne sono rimaste poche rispetto alle decine di migliaia dei primi anni '70) si sono rivelate inutili per i russi, e le poche bombe d'aereo della NATO ancora presenti ad Aviano e altrove in Europa non sono più utilizzabili di quanto lo siano mai state.

Kiev continua a chiedere ai suoi alleati armi sempre migliori, ma è ormai acclarato che è di soldati che Zelensky ha bisogno. Con il servizio militare solo a partire dai 27 anni - perché le madri ucraine si rifiutano di mandare i loro figli diciottenni nell'esercito come hanno sempre fatto le madri svizzere, finlandesi o israeliane, e con troppi esonerati per un motivo o per l'altro - le forze armate ucraine potrebbero avere meno di 650.000 uomini in tutto, non molto per una popolazione che supera i 27 milioni secondo le stime più basse. Per avere un'idea, Israele ha più o meno lo stesso numero di personale in uniforme con una popolazione di soli 9 milioni. La spiegazione è la sfortunata distribuzione per età della popolazione ucraina, con i bambini e gli anziani più abbondanti rispetto alla fascia di età compresa tra i 19 e i 35 anni, la più utile per un esercito. Tutto ciò significa che, a meno che non decida di porre fine alla guerra, Putin potrà continuare a rinforzare il suo esercito d'invasione. Il quale pian piano farà arretrare le truppe ucraine, che ogni volta perderanno soldati impossibili da sostituire.

Anche i russi non mandano in battaglia i giovani che stanno svolgendo il servizio militare obbligatorio, ma solo soldati volontari a contratto, attratti dalla buona paga e dai benefici (compresi i sussidi di morte che partono da 70mila euro, una fortuna per molti in Russia). Insieme ai molti prigionieri inglobati nelle unità di combattimento, l'esercito russo schierato lungo il lunghissimo fronte è già superiore agli ucraini, e il divario sta diventando sempre più ampio. Ciò significa che i Paesi della NATO dovranno presto inviare soldati in Ucraina, oppure accettare la catastrofica sconfitta del loro sforzo per difendere il Paese. Gran Bretagna e Francia, insieme ad alcuni Paesi nordici, si stanno già preparando a inviare truppe, sia piccole forze d'élite per il combattimento, sia unità logistiche e di supporto, per liberare gli ucraini dal servizio di fanteria al fronte. Con la Cina sempre più vicina a un attacco a Taiwan, l'esercito e i marines statunitensi non possono fornire più truppe delle oltre 40mila che già hanno in Europa. E così arriverà il momento della verità per tutti gli altri membri della NATO, soprattutto per i grandi, Germania, Italia, Spagna. Le premature dichiarazioni dei ministri Crosetto e Tajani, secondo cui l'Italia non invierà alcun soldato a nessun costo, dovranno essere presto revocate, altrimenti l'Italia dovrà accettare la sua retrocessione all'interno della NATO come membro di seconda classe, al pari della Turchia, i cui rappresentanti al quartier generale della NATO a Mons, in Belgio, si vedono ma non si sentono.

Forse a Roma non interessa quello che succede a Mons, ma se la Russia dovesse vincere la sua guerra e portare di nuovo le sue truppe in Europa centrale, l'Italia dovrà ricostruire le sue forze armate, a partire dal ritorno del servizio militare obbligatorio, un passo già fatto in sei Paesi europei negli ultimi mesi.

In queste circostanze non mi stupirei se scoppiasse la nostalgia del nucleare, quando sarebbe bastata la deterrenza.

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