Cronache

Sequestrati 25 milioni di euro: ecco il "tesoro" della Magliana

Sequestrati i beni di Diotallevi, il vecchio socio dei capi indiscussi della banda che ha insanguinato la Capitale, e non solo, dalla fine degli anni ’70

Il boss Ernesto Diotallevi, uno dei capi storici della banda della Magliana
Il boss Ernesto Diotallevi, uno dei capi storici della banda della Magliana

Venticinque milioni di euro in ville, appartamenti, società e auto di lusso. Fra questi una casa da favola nella piazza della “Dolce Vita”. Sequestrato il “tesoro” della Magliana, ovvero beni appartenenti a Ernesto Diotallevi, il vecchio socio di Domenico Balducci, “Memmo il cravattaro” per la banda di “Renatino” de’ Pedis, Franco Giuseppucci e Maurizio Abbatino, capi indiscussi dell’associazione criminale che ha insanguinato la capitale, e non solo, dalla fine degli anni ’70.

Ex facchino ai mercati generali di Roma poi costruttore, la carriera di Diotallevi è lunga trent’anni. Da questa il nome all’operazione della Guardia di Finanza e dei carabinieri del Ros, uniti in un’indagine delicatissima e che ha portato, ieri, all’ordinanza di sequestro emessa dal Presidente del Tribunale di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Destinatari: lo stesso Diotallevi, la moglie Carolina Lucarini, i figli Mario e Leonardo, nonché vari “prestanome”. Un personaggio coinvolto nei mille misteri d’Italia, fra i quali il “suicidio” del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi. Solo nel giugno del 2007 Diotallevi viene assolto dall’accusa di concorso in omicidio di Calvi. Eppure i legami con il crack dell’Ambrosiano ci sono tutti: a cominciare dal suo numero di telefono trovato su una scatola di cerini recuperata dal cadavere di Danilo Abbruciati, il killer della Magliana arrivato in via Oldofredi, a Milano, il 27 aprile del 1982 per un’esecuzione eccellente, quella di Roberto Rosone, vicepresidente dello stesso Ambrosiano, scampato per miracolo all’attentato. È sempre Diotallevi a consegnare a Calvi il falso passaporto intestato a Gianroberto Calvini con cui il finanziere arriverà a Londra in un’ultima disperata fuga. Secondo i pm Luca Tescaroli e Maria Monteleone, assieme al faccendiere Flavio Carboni, all’ex cassiere della mafia Pippo Calò e altri, "avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso - si legge nel capo di imputazione - denominate Cosa nostra e Camorra, cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle predette organizzazioni; conseguire l’impunità, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi all’impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della Massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro”. Per gli uomini delle Fiamme Gialle e i magistrati che hanno portato avanti l’operazione “Trent’anni” Diotallevi, secondo gli accertamenti economico-patrimoniali, è risultato “a capo di una complessa e insidiosa realtà criminale - scrivono sull’ordinanza di sequestro - la cui manifesta pericolosità è cristallizzata negli atti processuali di numerose inchieste giudiziarie, alcune di grande rilievo, i cui frutti, in termini di proventi illecitamente accumulati, si trovano nel libero godimento da parte del medesimo, che ne ha direttamente o indirettamente la disponibilità”.

Gli inquirenti sottolineano il fatto che Diotallevi è considerato uno dei capi storici della famigerata “Banda della Magliana” (…) giunta, nel corso del tempo, a disporre di un tale grado di potenza offensiva da permettersi di spadroneggiare nel territorio della capitale e del Lazio controllandone la totalità delle più lucrose attività delinquenziali. Sempre secondo quanto accertato da Finanza e Carabinieri, nel corso degli anni, forte delle proprie capacità ed esperienze criminali, Diotallevi è giunto ad acquisire un certo credito nella ben più ampia e temibile sfera delle organizzazioni della mafia siciliana, conquistando la fiducia dei suoi esponenti di maggior rilievo, come attestato dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Il sequestro, in particolare, riguarda beni dello stesso Diotallevi o intestati a prestanome, persone fisiche o giuridiche, compiacenti. Fra questi Roberto Ciotti e Alessandro Floris nonché a società facenti capo a loro come la “C. Immobiliare S.r.l.” di Rimini, la “Gestimm S.r.l.” e la “Sepefi Sr.l.”, utilizzate come “scudo” per fronteggiare eventuali provvedimenti e indagini della Procura. I beni sottoposti a sequestro sono relativi a quote societarie, capitale sociale e patrimonio aziendale, 7 società operanti nel settore della compravendita di beni immobili, della costruzione di imbarcazioni da diporto e sportive, del commercio di energia elettrica, dei trasporti marittimi e delle holding impegnate nelle attività gestionali; una società liberiana, titolare di una lussuosa villa sull’Isola di Cavallo in Corsica; 9 veicoli, tra auto e moto; 42 unità immobiliari a Roma, Gradara (PU) e Olbia.

Tra questi un’abitazione a dir poco lussuosa in piazza Fontana di Trevi composta di ben 14 vani e mezzo e un complesso turistico formato da villette a schiera, fronte mare, nella splendida cornice di Olbia, Sassari.

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