Siamo in recessione. L'ha certificato l'Istat sulla base degli ultimi dati del 2018. La flessione del 2018 si riverbera sul 2019 riducendone le stime del Pil. La legge di bilancio, votata frettolosamente, scavalcando la discussione in Parlamento, aveva stimato, per il Pil del 2019, una crescita dell'1%. Banca di Italia la valuta a +0,6 del Pil. Da una mela, siamo a mezza mela e qualcosa.
Ciò, se non si farà nulla per combattere questa flessione: che deriva dal fatto che la crescita nel resto di Europa sta rallentando e dal fatto che il nostro governo ha varato una legge di bilancio basata sull'aumento delle spese correnti anziché di quelle di investimento, inferiori alla media europea e sulla riduzione delle aliquote delle imposte seguitando in una politica praticata dai precedenti governi a guida Pd, che pure si era rivelata inadeguata. Le pesanti clausole di salvaguardia, introdotte nella legge triennale di bilancio, hanno spaventato gli operatori economici che perciò hanno ridotto gli investimenti e last but not least, la tassazione punitiva delle auto Fiat Chrysler che ne riduce le vendite e induce Fca a ridurre gli investimenti in Italia.
La flessione di 0,4 del Pil farà accrescere al 2,3 il deficit fissato allo 2,04, comportando una manovra correttiva, consistente o nell'aumento delle imposte o nella riduzione della spesa corrente. Ciò perché mentre le spese a bilancio hanno una dinamica che non dipende dal Pil, le entrate dipendono del Pil, con un'elasticità superiore a 1, dovuta alla progressività complessiva del sistema.
La stima del maggiore deficit che si può fare è un po' minore della riduzione del Pil (di 0,4 punti) in quanto una parte delle entrate (in particolare delle imposte dirette) è calcolata non sul Pil dell'anno corrente, ma su quello precedente. Uno 0,1 di Pil è pari a 1,8 miliardi. Poiché 1,8 x 3= 5,4 serve una correzione di 5,5 miliardi per riportare il deficit al livello del 2,04 del Pil, che è già un po' sopra il necessario a ridurre sostanzialmente il nostro debito che è oltre il 130% del Pil.
Il vicepremier Di Maio afferma, senza documentazione statistica, che la stima di Banca d'Italia del Pil a +0,6 soltanto nel 2019 è errata, perché Banca d'Italia sbaglia le stime: peggiorandole, quando la maggioranza di governo le è antipatica. Ma Prometeia, istituto privato di ricerca, che lavora per le imprese, sulla base degli ultimissimi dati ha tagliato la crescita del 2019 allo 0,5. Standard & Poor's - sulla base di dati precedenti di qualche giorno alla valutazione dell'Istat - ha ridotto la stima del Pil per l'Italia allo 0,7. La valutazione di 0,6 di Banca d'Italia è intermedia fra queste due. Su di essa conviene basarsi per affrontare la situazione.
La prima cosa da constatare è che il reddito di cittadinanza, in queste condizioni, diventa un assurdo, in quanto dà una sovvenzione temporanea a chi non ha lavoro e lo cerca tramite un'apposita Agenzia pubblica che lo assiste. Ora, i posti di lavoro, quando la crescita si contrae, a loro volta si contraggono, perché le imprese per reggere alla concorrenza, nella nuova situazione, debbono aumentare la produttività per addetto. Se i posti di lavoro nuovi mancano, questa sovvenzione a chi cerca un lavoro o cade nel vuoto o serve solo a togliere lavoro a qualcun altro. Perciò bisogna concludere: ciao reddito di cittadinanza, «non c'è posto per te». E, invece, occorrerebbe mettere subito in moto nuovi investimenti per fare risalire la crescita del Pil, puntando soprattutto su opere già cantierate e in attuazione, come la Tav Torino-Lione, o che sono rapidamente cantierabili, i tratti Alta velocità bloccati, le opere per Genova, le strade Anas interrotte da frane, le scuole cui servono manutenzione straordinarie. E decenti case parzialmente prefabbricate per i terremotati, a sostituzione di quelle fatiscenti o non consegnate e rimozione di detriti. Per questi investimenti una parte della spesa a carico del pubblico bilancio, spesso è già stanziata, anche se non ancora erogata. E comunque essa e la nuova possono gravare sulle casse pubbliche in tempi successivi, perché nel frattempo le fatture, se assistite da garanzia governativa, sarebbero riscuotibili in banca, col «factoring».
Quando c'è capacità non utilizzata, output gap, il costo sociale delle opere è zero. Keynes suggerisce di fare anche opere inutili, come le piramidi di Egitto, per ridare fiato all'economia. I neoclassici vogliono opere utili, ma rapidamente attuabili. Non c'è tempo da perdere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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