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Sgarbi in Emilia per espugnare il fortino rosso

Sgarbi in Emilia per espugnare il fortino rosso

Se Berlusconi per tentare l'assalto al potere rosso più longevo d'Italia avesse voluto un candidato tranquillizzante, non si sarebbe rivolto a Vittorio Sgarbi. Invece a guidare la lista di Forza Italia alle Regionali emiliane del 26 gennaio sarà lui, lo Sgarbone. E così il lancio della lista si trasforma in uno show in cui vengono dette cose che da un'altra bocca susciterebbero un pandemonio: e che invece qua scivolano via tra risate e battimani. Perché questo è Sgarbi, quello in grado di dire che l'Italia è guidata da «un governo di criptochecche con fidanzati di copertura, gente a cui piace prenderlo in quel posto e vuole costringere gli italiani a fare la stessa cosa». O che «Mattarella è l'Anticristo, non ha mai fatto niente in vita sua». E di bacchettare persino la candidata del centrodestra alla presidenza della Regione, la Borgonzoni, accusata da più parti di evitare gli scontri in campo aperto: «Non si fa vedere in giro perché teme che la scambino per la candidata».

D'altronde Sgarbi sa bene che qui tra una ventina di giorni Forza Italia è attesa a una doppia battaglia, quella per portare il centrodestra alla guida della Regione ma anche la sfida interna alla coalizione, lo sforzo per non venire del tutto oscurata dall'annunciata valanga leghista. E sceglie di affidare la missione a una rivendicazione di identità, «siamo il partito del bello, della cultura»; e di presentare se stesso come il continuatore di una tradizione, «votare me significa votare il Berlusconi di vent'anni fa». D'altronde, dice, io sono con lui dall'inizio «e sono l'unico che non lo ha mai tradito». E snocciola impietosamente i nomi dei transfughi, fino a Giovanni Toti «che sembra Topo Gigio» e «ha fatto un partito con un nome che non vuol dire niente, che c... vuol dire Cambiamo? Tutti vogliamo cambiare».

Accanto a sé Sgarbi ha Anna Maria Bernini, bolognese doc, capogruppo azzurra al Senato, che della sua scelta come frontman alle Regionali è stata corresponsabile insieme al Cavaliere: e che, salvo alzare gli occhi al cielo quando il candidato le spara particolarmente grosse, appare più che mai convinta della scelta. Se non ce la fa Sgarbi a compiere la missione, sembra pensare la Bernini, non ce la fa nessuno. E sull'esito ostenta fiducia: «Dopo settant'anni libereremo l'Emilia Romagna, ma bisogna che tutti vadano a votare, a Savignano sul Panaro che è qui vicino abbiamo perso per un solo voto».

Il battesimo della lista forzista ha per scenario un hotel che nell'altra sala ospita una convention di islamici moderati, i corridoi pullulano di musulmani in veli e caffettani, e anche loro devono subire l'irruenza sgarbiana, «cos'è questo, il Corano, fammi vedere cosa dice... ah ecco, il 26 gennaio vince il centrodestra, perfetto!». Ma è una presenza che consente al candidato azzurro di smarcarsi dalle asprezze leghiste, «ci sono diversi Islam, e non credo che si possano alzare barriere contro altre culture e altre civiltà, non si può vietare il velo come hanno fatto in Francia». Laicità e tolleranza, insomma, come un pezzo importante della diversità di Forza Italia: «Il futuro di Berlusconi deve essere l'accordo con Salvini, ma dobbiamo stare con lui per correggere quello che lui non può fare, il partito della cultura, della bella Italia, dei valori di conoscenza e competenza». Di essere padano, d'altronde, Sgarbi si vanta: «Non come Bossi ma come Verdi, il Parmigianino, Antonioni, Nicolò dell'Arca».

Sullo sfondo, appena accennate dagli altri candidati, restano le questioni pratiche su cui si darà battaglia, dalla crisi del commercio al molto contestato progetto di tram. Di Bonaccini, il presidente uscente e ricandidato, Sgarbi dice che è «un bravo ragazzo, purtroppo è un comunista che si vergogna di esserlo, si vergogna anche di essere del Pd, non si capisce più cosa sia».

Ma una cosa è certa: «dai nostri elettori non prenderanno un voto, perché noi li conosciamo bene».

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