Sono a disagio Però i pericoli sono ben altri

Non c'è testo al mondo che debba essere cancellato per legge, nemmeno il più ripugnante, non c'è idea che debba essere chiusa dietro le sbarre, nemmeno la più fosca

Sono a disagio Però i pericoli sono ben altri

Scrivo per testimoniare, sul mio giornale, il mio disagio, e intanto ringrazio il direttore che, come sempre, mi lascia esprimere senza infingimenti ciò che provo e penso. Guardo la copertina del Mein Kampf, la striscia rossa, la svastica nera, e puzzano di morte. Non mi piace che il mio giornale esca porgendo un simile oggetto. Ai miei occhi esso contiene mille immagini, sono quelle delle baracche di Auschwitz, quelle dei bambini che mostrano il numero sul braccio e dei morti accatastati sui carri e nelle fosse. E come potrebbe essere diversamente?

Per quanto si possa studiare quel libro, la sua pregnanza storica è fattuale, non culturale. Parla della mia stessa auspicata morte, se ci fossi stata, di quella del mio nonno polacco, di sua moglie, dei miei zii polacchi e italiani. La sua lettura è inequivoca: studiarlo vuol dire imbattersi nella ripetuta idea del necessario sterminio degli ebrei e nell'eccitazione con cui queste idee vennero accolte da un intero mondo, quello tedesco, compresi anche molti intellettuali, filosofi, scrittori, musicisti, il tutto unito a una politica di espansione territoriale per la ricerca dello «spazio vitale» tedesco. Non solo: il testo non è morto, viene scaricato a centinaia di migliaia di copie su internet, circola in abbondanza nel mondo arabo a fianco dei Protocolli dei Savi di Sion, che è un best seller fra i palestinesi.

Golda Meir nel 1956 raccontò che se ne trovarono copie negli zaini dei soldati egiziani, e chi entra in una libreria araba è quasi sicuro di trovarlo. Sia chiaro che avrei preferito che il libro non accompagnasse il mio giornale, anche se spiegato bene dal direttore Sallusti, da un classico dell'interpretazione del nazismo - il testo di William Shirer - e dall'introduzione di Perfetti, storico antifascista di vaglio. Ma intendo ripetere quello che ho già più volte affermato, rifiutando la criminalizzazione giuridica dell'immondo negazionismo della Shoah: tutto deve essere detto, letto, raccontato, interpretato, e che sia guerra delle idee.

Non c'è testo al mondo che debba essere cancellato per legge, nemmeno il più ripugnante, non c'è idea che debba essere chiusa dietro le sbarre, nemmeno la più fosca. Lo dice una persona sul cui petto sono stati applicati da un disegnatore satirico una Stella di David e un fascio e che la destra e la sinistra antisemita mettono sui loro siti come una dei leader della tentacolare cospirazione sionista internazionale. Inoltre, l'antisemitismo nazista genocida più attivo non è quello del rivoltante, noiosissimo, confuso, pallosissimo Mein Kampf (che vorrei sapere quanti, se non già fanatizzati, leggeranno oltre le prime due pagine), che sul New Yorker James Surowiecky descrive come un libruccio miserabile da cui Hitler esce come un opaco, amaro, invidioso, traumatizzato perdente. Il pericolo odierno lo si trova purtroppo in mille luride vignette in cui gli ebrei-sionisti sono un'unica entità malvagia, col naso, le unghie, i missili, la bocca grondanti di sangue di bambini sgozzati (posso citare una a una le immagini cui mi riferisco), e non ho sentito nessuno alzarsi in piedi a urlare che questo è inammissibile.

Il rischio di un testo proibito, comunque, è che diventi un tabù universale, di fatto praticato nel segreto dello schermo del computer da masse clandestine che scaricano il Mein Kampf a centinaia di migliaia di copie.

Se lo si lancia in aria ha più possibilità di essere impallinato dalla contesa delle idee; naturalmente dobbiamo essere pronti allo stesso esercizio critico con la Carta dell'Isis o col Libretto Rosso di Mao Tze Tung: nessuna comparazione numerica o morale dei danni, parlo di testi orribili.

Fiamma Nirenstein

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