Coronavirus

Sono morti i Coronabond e spunta un piano Marshall

l virus non è l'unico problema. Questi mesi assomigliano a una sorta di poema epico e il finale non è garantito.

Sono morti i Coronabond e spunta un piano Marshall

Il virus non è l'unico problema. Questi mesi assomigliano a una sorta di poema epico e il finale non è garantito. Potrebbe non esserci un «vissero tutti felici e contenti». Infatti non è una fiaba, ma un viaggio nel deserto. Ci sono almeno tre sfide da superare e ognuna è una scommessa. La prima è appunto spegnere la pandemia. La seconda è sopravvivere a un orizzonte economico devastante, da repubblica di Weimar. La terza è salvare quella cosa chiamata Europa, che una volta era un sogno, poi in molti hanno cominciato a vedere come un incubo e ora rischia di essere semplicemente inutile. Solo che pensare di affrontare le prime due sfide da soli rende l'impresa quasi impossibile. Quindi la cosa più saggia sarebbe dare un destino all'Europa, fidandosi gli uni degli altri e scacciando la paura. Non è affatto semplice.

Le notizie che arrivano dal Parlamento europeo bisogna decifrarle. Ieri è stata approvata una risoluzione che è una traccia nella notte, un segnale per capire dove si può andare. Non ha forza di legge, ma è una carta che si può giocare il 23 aprile, quando tutti i capi di governo si riuniranno per aprire la stagione della «ricostruzione».

Qual è il cardine di questa risoluzione? I «recovery fund». Non è un incantesimo, ma un fondo per far ripartire le aziende strategiche. Si parla di miliardi di euro, garantiti direttamente dal bilancio dell'Ue. La speranza è che siano una sorta di piano Marshall. È uno dei quattro strumenti, oltre al lavoro sui mercati della Bce, per non affogare. Gli altri tre sono il sostegno al lavoro, una casa integrazione europea (Sure), i 200 miliardi per le piccole e medie imprese (Bei) e gli investimenti nella sanità sostenuti con l'ormai famoso fondo salva Stati, cioè il Mes.

Sembra tutto fatto, ma in realtà l'ultima parola spetta ai governi nazionali, che devono trovare un accordo. Il vertice di giovedì prossimo promette molto, ma già comincia a circolare la voce che sul piatto non ci sarà nessuna cifra, ma solo delle idee per avviare il dibattito.

Il voto di ieri sta avendo dei riflessi inaspettati e polemici sul fronte politico italiano. Questo perché il giorno prima è stato bocciato un emendamento presentato dall'eurogruppo dei Verdi a favore degli «eurobond». Qui le cose si complicano. Il Pd e i Cinque Stelle hanno votato a favore, insieme a Fratelli d'Italia. Lega e Forza Italia hanno votato no. Accuse e stupore. Ma come votate contro gli eurobond tanto amati, quelli che sono l'alternativa al capestro del Mes? Sembra assurdo, ma in realtà c'è una ragione. Gli eurobond, o coronabond, come spiega in una nota Silvio Berlusconi, sono rispetto ai «recovery», uno strumento meno efficace e con un nome compromesso, su cui non si sarebbe mai raggiunta l'intesa. Il motivo è che mentre gli «eurobond» pesano sul bilancio dei singoli Stati, i «recovery» sfruttano una garanzia comunitaria. La differenza sembra sottile, ma salva la faccia ai governi rigoristi davanti ai propri elettori. Sono, insomma, un punto di caduta accettabile per tedeschi e olandesi.

Le carte si mischiano però di nuovo quando si va a votare proprio i «recovery bond». Forza Italia e Pd convergono sul sì. Lo battezzano anche gli europarlamentari della Meloni (che resta però contraria al Mes). La sorpresa è che gran parte dei grillini si astiene e alcuni dicono no. Voto nullo anche per la Lega.

È una sorta di giostra, dove ognuno gira per conto suo. Si gioca a puntare il dito contro il vicino e di certo c'è solo che il premier Conte sta ballando su una maggioranza che non si riconosce.

Il governo italiano è una quadriglia.

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