Sovraffollate e fatiscenti: quelle carceri polveriere

La foto scattata dal rapporto Antigone 2018. In molti istituti il doppio dei detenuti previsti

Sovraffollate e fatiscenti: quelle carceri polveriere

Sovraffollate, sporche piene di gente arrabbiata e annoiata, che non lavora, non frequenta corsi scolastici, sorvegliata da un personale sufficiente solo sulla carta. Insomma, polveriere pronte a esplodere. Che ogni tanto, come a Sanremo, semplicemente esplodono. Sono le carceri italiane secondo il XIV rapporto sulle condizioni detentive in Italia redatto dall'associazione Antigone, che da anni monitora il mondo carcerario italiano.
Partiamo dall'affollamento. Nelle 190 carceri italiane vivono, o meglio sopravvivono, 58.223 detenuti (dato del marzo 2018), quasi 2mila in più rispetto allo stesso mese dell'anno prima, alla faccia del luogo comune secondo cui ormai in carcere non ci finirebbe più nessuno. E se diversi istituti hanno numeri accettabili, altri hanno tassi di affollamento inauditi. Come Como, dove ci sarebbe spazio per 231 detenuti ma se ne trovano 442, con un tasso di occupazione del 191,5 per cento e tre detenuti relegati in una cella di nove metri quadri. O come Taranto, dove 594 persone vivono recluse in uno spazio studiato per 306, con un angosciante 194,1 per cento. Molto affollati anche gli istituti penitenziari più grandi d'Italia: Poggioreale a Napoli (2286 detenuti in 1659 posti), Rebibbia a Roma (1473 carcerati in uno spazio pensato per 1178), Opera a Milano (1352 persone e 918 posti), Lorusso e Cutugno a Torino (1383 detenuti invece che 1062).
Naturalmente carceri affollate significano ambienti insalubri e poco confortevoli. Il 10 per cento degli istituti visitati dai volontari di Antigone ha gli impianti di riscaldamento malfunzionanti, il 43 per cento non ha acqua calda garantita, la metà degli istituti non ha docce in cella ma solo in ambienti comuni spesso fatiscenti, umidi, con lunghe file. Nel 5 per cento delle celle manca addirittura il wc separato, grado minimo di civiltà. Circa la metà dei detenuti non ha a disposizione impianti sportivi e l'unica forma di attività fisica sono lunghe passeggiate nei cortili.
Oltre un detenuto su tre (il 34 per cento) è dietro le sbarre in custodia cautelare, ovvero è ancora in attesa di una sentenza definitiva. Il 24,9 per cento del totale è stata condannata (o è sotto processo) per reati contro il patrimonio, mentre il 17,7 per reati contro la persona e il 15,2 per reati contro il testo unico sugli stupefacenti.
I detenuti stranieri sono 19.811, più di un terzo del totale (il 34,02 per cento) e secondo Antigone non esiste una vera emergenza visto che negli ultimi quindici anni il numero di detenuti di nazionalità non italiana è rimasto più o meno lo stesso mentre la popolazione di immigrati è aumentata di circa tre volte e mezzo. Ciò ha fatto crollare naturalmente il tasso di detenzione degli stranieri, che è allo 0,39 per cento mentre nel 2003 era dell'1,16, ovvero incredibilmente alto.
Il problema è anche che cosa si fa nelle case circondariali italiane: solo il 23 per cento della popolazione carceraria partecipa a un corso scolastico di qualsiasi grado e solo il 30 per cento ha un'occupazione, e solo il 2,2 per cento per un datore di lavoro diverso dall'amministrazione penitenziaria. Ciò vuol dire che la gran parte dei «lavoranti» svolge mansioni che non possono poi essere spese nel mondo del lavoro esterno, come la distribuzione del vitto e la pulizia delle sezioni).
Le carceri italiane sono un ambiente avvilente, dove peraltro si muore molto.

Nel 2017 sono tornati ad aumentare i suicidi (52 contro i 45 del 2016), che avvengono per lo più nella fase iniziale della carcerazione o nella fase finale (il cosiddetto fine-pena), in cui cresce l'angoscia per il rientro nella società dei liberi.

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